La guerra al virus e la ricostruzione futura

venerdì 20 marzo 2020


Avremo l’esercito nelle strade, nuove limitazioni per negozi e supermercati oltre una nuova raffica di denunce per passeggiate non giustificate nei parchi, sulle spiagge o in qualsiasi altro spazio in cui si svolgono abitualmente attività all’aperto.

Tutte queste misure sono chiaramente dirette a creare quel clima di preoccupazione e di paura che dovrebbe convincere una volta per tutte gli italiani a rimanere chiusi in casa per porre un limite, si spera invalicabile, alla diffusione del contagio. L’effetto voluto, dunque, soprattutto con le maggiori difficoltà per le spese alimentari e, soprattutto, con la presenza massiccia dei soldati armati ed in divisa nelle città, dovrebbe essere essenzialmente psicologico. L’augurio, ovviamente, è che oltre ad alimentare il timore dei cittadini convincendoli a rispettare senza proteste e trasgressioni il rigore imposto dal coronavirus, il nuovo giro di vite serva effettivamente a fermare lo sviluppo della pandemia. Ma questo augurio non si fonda su dati ed esperienze concrete. Chi insiste nel fare riferimento a quanto è avvenuto in Cina dimentica le differenze profonde tra la realtà sociale e politica cinese e quella italiana. E punta sul nuovo isolamento con la stessa logica e razionalità di quanti si appellavano nei secoli passati a San Rocco e Santa Rosalia per far finire la peste.

Ma si può fare altrimenti? La risposta è scontata. Nella situazione attuale non c’è altra strada da imboccare oltre quella dell’inasprimento del rigore. Per cui non rimane che accogliere di buon grado le nuove norme nella speranza che possano funzionare e produrre risultati. Ma il rigore non può essere l’unica alternativa alla resa alla pandemia. Oggi bisogna impedire che la società italiana venga falcidiata dal virus. Ma a questa sacrosanta battaglia va affiancata anche quella tesa a scongiurare la possibilità che una volta usciti dalla pandemia gli italiani possano rischiare la pelle per il blocco dell’economia, del lavoro e della produzione provocato dai provvedimenti draconiani e dal terrorismo psicologico da essi provocato.

Tra due mesi di blocco quanti saranno i commercianti, gli operatori del turismo, i professionisti, gli artigiani ed i titolari di partite Iva che avranno mezzi e testa per poter ripartire? Il governo promette di sostenere queste categorie. Ma i provvedimenti che dovrebbero affiancare il rigore sono confusi, incerti e sempre aggravati da incombenze burocratiche spesso incomprensibili. Il pericolo è che l’eccesso di rigore non bilanciato da adeguati sostegni per le fasce sociali più a rischio possa produrre più danni dello stesso coronavirus.

Per evitare di ripetere gli errori che hanno reso impossibile la ricostruzione dopo i terremoti che hanno devastato l’Italia centrale, maggioranza ed opposizione trovino rapidamente una intesa. L’unità nazionale di fronte all’emergenza sia concreta. E non una formula retorica priva di qualsiasi contenuto. Perdere la guerra è possibile. Ma perdere la guerra e anche la possibilità della ricostruzione sarebbe devastante ed inaccettabile!


di Arturo Diaconale