Decreto “Cura Italia”: canta che ti passa

Il Coronavirus incalza ma gli italiani lo affrontano con encomiabile pazienza. Per un Paese denigrato all’estero per essere la patria dei furbetti, assistere, davanti ai supermercati, al comporsi di lunghe file di clienti, che attendono il proprio turno osservando scrupolosamente le disposizioni di legge per evitare il diffondersi del contagio, ha del sorprendente. Come non essere orgogliosi di questo popolo che, quando vuole, sa stupire. Molte sono le persone mirabili, per ciò che fanno di grandioso per la comunità. Sono eroi ordinari che vivono con coraggio e abnegazione la propria quotidianità di gente normale. Sono medici, infermieri, operatori sanitari, staff di ambulanze, forze dell’ordine, di cui nessun cantastorie immortalerà le gesta o declamerà i nomi. Eppure, sono sul campo a fare la differenza, per la maggior parte dei casi da militi ignoti. Sono loro la prima linea: combattono e, talvolta, cadono da veri soldati di una guerra che nessun Paese ha dichiarato. Se c’è un solo elemento positivo che il Covid-19 restituisce a questo tempo storico, è l’essersi scoperti, da italiani, un’umanità migliore di quanto noi stessi pensassimo. Ma questa è l’istantanea rubata a un momento speciale. Il virus ha attaccato le vie respiratorie ma non è arrivato ancora ad aggredire mortalmente le tasche degli italiani.

Quando accadrà, come reagiremo? Quando sui conti correnti resteranno pochi spiccioli che perfino il Bancomat si rifiuterà per imbarazzo di erogare, si manterrà lo stesso self control dei giorni del virus oppure si darà di matto, prendendosela con l’universo mondo? E se dovesse accadere che gli italiani perdano la pazienza, saranno per questo da condannare? Scoprirsi deboli e disarmati nel fare fronte alla scia di miseria che il morbo avrà lasciato dietro di sé, sarà il crimine al quale inchiodare un popolo indifeso? La tempesta imprevista non è colpa del timoniere, ma come se ne esce per portare barca ed equipaggio salvi in porto è responsabilità di chi sta in plancia. Purtroppo, è nostra opinione, l’Italia non avrebbe potuto ritrovarsi, in quest’ora buia e tempestosa, con un timoniere più inaffidabile. Il Governo Conte, che verrà ricordato negli annali di Storia patria per aver ispirato la creazione di un nuovo neologismo, riguardo a sé: l’indecisionismo. Grillini e “dem”, dal principio della catastrofe Coronavirus hanno sbagliato tutto. L’hanno presa sottogamba per rimarcare la differenza dalla destra che, al contrario, lanciava preoccupati allarmi. Quando la situazione è precipitata hanno preso provvedimenti contraddittori, quando non inefficaci. Quel che di buono è stato fatto lo si deve all’impegno dei governatori delle regioni che, vivendo in prima persona il dramma del contagio, si sono mossi con pragmatismo e intelligenza anticipando misure severe per bloccare il diffondersi del virus.

Dai palazzi del Governo, invece, tante chiacchiere, tantissima retorica, scarsa determinazione e nessuna umiltà nel riconoscere anche la minima responsabilità nella confusione creata con comportamenti pericolosamente ondivaghi. Figurarsi cosa accadrà ora che è in ballo la sopravvivenza economica del Paese. Il Governo ha varato il Decreto “Cura Italia” col quale si vorrebbe stendere un cordone di sicurezza intorno al reddito delle famiglie e delle imprese. Ma viste le cifre messe in campo – 25 miliardi di euro – più che un cordone sembra un nastrino colorato. I denari stanziati non bastano a superare il quasi totale azzeramento della capacità produttiva del Paese. È come curare un moribondo con una minestrina riscaldata. C’è l’estensione della cassa Integrazione in deroga. Ma poco o niente per le partite Iva, per i professionisti co.co.co. e per gli autonomi. Un bonus una tantum da 600 euro. Gli enti di carità avrebbero fatto meglio. Niente sul rilancio shock degli investimenti. C’è bisogno di liquidità che non può essere filtrata dai meccanismi del sistema bancario ancorati a regole che ne problematizzano l’accesso per molte famiglie e imprese, in particolare micro e piccole. Che serve rafforzare i Fondi di garanzia se buona parte dei potenziali destinatari non passa i criteri di merito fissati in sede europea per accedere al credito? Sono state rinviate, di poche settimane le scadenze fiscali. Ma dov’è il vantaggio se poi ne verranno richiesti i pagamenti tutti assieme in un futuro ravvicinatissimo? Si risparmierà sulle bollette. Ma è un raggiro. I costi delle forniture primarie: acqua, gas, energia elettrica, subiranno un’impennata a causa della presenza forzata in casa della maggioranza degli italiani per effetto dei divieti di circolazione imposti per contrastare il contagio. Il Governo si fa bello rinunciando a una parte del surplus d’introiti che riceverà dall’incremento inevitabile dei consumi.

Poi, è prevista la sospensione di mutui e di altri finanziamenti a rimborso rateale in scadenza fino al 30 settembre 2020. Successivamente la restituzione dello scaduto potrà essere dilazionata senza oneri aggiuntivi. Ma anche qui c’è la fregatura. Potranno accedere al beneficio del cosiddetto Fondo Gasparrini sui mutui “prima casa” i lavoratori autonomi e i liberi professionisti che potranno certificare di aver avuto in un trimestre successivo al 21 febbraio 2020 un calo di almeno il 33 per cento del fatturato rispetto al IV trimestre del 2019, in conseguenza della chiusura o della riduzione delle attività a causa dei provvedimenti restrittivi adottati dalle competenti autorità per contrastare l’epidemia. Ora, anche un paracarro comprende che gli effetti di una crisi devastante come quella che stiamo attraversando possono spalmarsi su un periodo molto superiore a quello a ridosso del suo scoppio. Quante aziende hanno in pancia ordinativi di forniture ricevuti prima del Coronavirus che sono stati o saranno evasi nel periodo in corso ma che per effetto del calo della domanda non saranno rinnovati nei prossimi mesi? Occorrerebbe all’Italia uno sforzo da tempo di guerra. Il pensiero va al Piano Marshall, grazie al quale dal 1947 l’Europa avviò con i denari statunitensi la ricostruzione post Seconda Guerra mondiale. La pandemia in atto per i danni che causerà all’economia globale meriterebbe un nuovo Piano Marshall. Il guaio è che non esiste un Piano e, soprattutto, non c’è da nessuna parte un George Marshall in grado di concepirlo e realizzarlo. Salvo una pericolosa eccezione. Non c’è a Washington e men che mai c’è a Bruxelles o a Berlino, o a Parigi.

Ognuno pensa a se stesso e nessuno guarda di là dal proprio naso se non per fare sfoggio di arroganza neo-imperialista nei riguardi di un’Italia che mai come adesso si presenta vulnerabile, a causa della debolezza strutturale della sua odierna classe dirigente. Quale migliore occasione per farne terra di conquista allo scopo di strapparle gli asset strategici? Non aspettiamoci nessun aiuto sostanziale dall’Unione europea che, come hanno dimostrato le non-scelte di questi giorni perigliosi, non è che un contenitore svuotato di sostanza. E, purtroppo, non aspettiamoci alcun miracolo dall’altra parte dell’Atlantico. Con una campagna in corso per le presidenziali Donald Trump deve pensare ai suoi connazionali. E noi, sebbene alleati, non possiamo pretendere che non lo faccia per venire a tirarci fuori dai guai. Ciò che deve preoccupare è l’eccezione che si chiama Cina. Il colosso orientale ha tutto ciò che occorre all’Italia per ricominciare a produrre: ha la domanda e ha l’offerta. Tuttavia, nessuno al mondo fa niente per niente. E se dovesse essere Pechino la nostra sola ancora di salvezza, il prezzo da pagare non solo sul piano commerciale ma, soprattutto, su quello geopolitico sarà altissimo. Siamo pronti a un tale passo? Per avere una risposta sincera chiedetelo all’amico, al conoscente che sommerso dai debiti e senza un euro in tasca è sul punto d’incontrare uno strozzino.

Aggiornato il 19 marzo 2020 alle ore 11:42