Cari italiani, adesso sappiamo cosa vuol dire essere reclusi

Per due settimane, rinnovabili con altre due, ci hanno messi a dei comodi arresti domiciliari con permesso di uscita non regolato da un magistrato e senza cavigliera elettronica. Per motivi sanitari. Per una scommessa contro il tempo per mitigare un’epidemia. E per un’adesione a un metodo piuttosto che a un altro. Quello di Wuhan invece di quello di Londra. Ed entrambi potrebbero essere quello giusto. Sia come sia, cari italiani, ad una cosa questo bailamme e questi disagi potranno servirci, sperando di non dovere anche andare a gambe all’aria economicamente: a capire cosa provano i detenuti nelle loro celle. Che per moralismo fascio-catto-comunista – e da ultimo grillino e leghista – tipico di una mentalità dell’epoca della contro riforma, abbiamo deciso di lasciare in situazioni da prigioni dell’epoca di Casanova. O di quella del Conte di Montecristo o in genere dei romanzi di Alexandre Dumas padre. Non prigioni ma grotte dove precipitare i nemici della società. O quelli reputati tali. Se avessimo invece investito intelligentemente nell’edilizia carceraria – e se non avessimo distrutto anche la sanità e la scuola – oggi l’Italia sarebbe un paese migliore. E non precipitato nel panico irrazionale a partire dagli uomini di questa ridicola classe dirigente. Tra ambizioni e velleità. Arrivismo e opportunismo allo stato puro. Ovvero chiacchiere e distintivo.

Negli ultimi trent’anni si sarebbero potuti costruire almeno centomila vani cella, unità fatte di camera e bagno singolo con doccia, lavandino, water e bidet per ciascuno dei possibili detenuti d’Italia. Ce ne potevamo mettere dentro comodi altri 40mila. Sarebbero stati contenti pure i forcaioli. Dividendo, possibilmente, le carceri in quelle per le persone ancora in attesa di giudizio, o “non definitive”, e altri istituti dedicati a quanti invece la pena devono espiare. I privati nelle grandi città negli ultimi dieci anni hanno ricavato anche molti più vani che centomila di questo tipo trasformando interi palazzi in bed and breakfast. Adattandosi le famiglie e i singoli all’economia turistica che ci era stata suggerita da alcuni anni a questa parte.

Cosa impediva allo stato di trasformare centinaia di immobili finiti in abbandono anche delle amministrazioni militari in altrettante prigioni dove ogni detenuto perde la libertà ma non la dignità, l’igiene e da ultimo persino la vita? Purtroppo abbiamo preferito ignorare i problemi carcerari facendo marcire in galera “quei delinquenti”. Abbiamo prediletto la mentalità da discorso al bar. Come abbiamo preferito tagliare decine di medici, infermieri ed ospedali alla sanità pubblica sottovalutando gli allarmi dell’Oms sulla possibilità continua di pandemie come quella in atto. E anche nel settore scuola abbiamo lasciato le strutture che c’erano già ai tempi della scuola gentiliana – cioè del grande filosofo Giovanni Gentile assassinato ai giardinetti dai comunisti dell’epoca cioè nell’immediato dopoguerra - senza però più insegnamenti a quel livello, al netto dell’indottrinamento di regime che comunque per i giovani dell’epoca era meno martellante della propaganda che si sente oggi in giro da parte della politica dell’era dei social. Risultato? Come diceva quel noto illuminista francese, un paese si vede quel che vale da come tiene queste tre grandi strutture portanti della società: carceri, ospedali e scuole. E quanto vale oggi l’Italia?

P.S.

Il fatto che in queste tre infrastrutture sociali ci siano persone che invece sono dei grandi lavoratori, scienziati, educatori e persone umanamente molto sensibili ai problemi delle persone con cui trattano per mestiere è un’aggravante. Nelle stesse carceri schifose, negli stessi ospedali sprovvisti di respiratori e con poche camere per la terapia intensiva, nelle stesse scuole che crollano a ogni cambio di stagione, oltre ai detenuti ai pazienti e agli alunni vivono insegnati, medici, educatori, psicologi, agenti carcerari. Tutti insieme uniti da uno stesso triste destino di negligenza e abbandono. Questa sciatteria moralista e burocratica di fondo, questo considerare lo stato come un terreno di rapina e di lottizzazione per chi comanda, questo essere prepotenti con i deboli, i malati, i reclusi, gli alunni, ci ha portato a fare vivere nel disagio tanto i carcerieri quanto i carcerati, tanto i medici quanto i pazienti, tanto i professori quanto gli studenti. E ora che queste strutture servirebbero funzionanti al miglior livello possibile eccoci pronti a raccogliere i cocci. Un capolavoro chiamato classe dirigente italiana (politici, sindacalisti, alti burocrati, “tecnici”, magistrati), specialmente quella che ha governato dall’inizio della seconda repubblica a oggi. Prima, tutto sommato, si viveva meglio. Meglio assai.

Aggiornato il 17 marzo 2020 alle ore 14:29