martedì 17 marzo 2020
Si può ammazzare un fantasma? In linea logica non si potrebbe, essendo un fantasma la proiezione metapsichica di un essere umano già defunto. Sarebbe dunque illogico indagarne la morte. Neanche la letteratura gotica è arrivata a tali picchi horror. Tuttavia, l’impossibile è divenuto reale grazie al Coronavirus.
Qualche giorno fa abbiamo scritto che uno spettro si aggirava per l’Europa: l’Unione europea. Oggi possiamo affermare che quello spettro è stato accoppato dal virus maledetto. O meglio, il cadavere che abbiamo davanti è l’ectoplasma esanime dell’idea di un’Europa unita e solidale. All’ennesima emergenza l’esile impalcatura, che reggeva la falsa rappresentazione di un’Unione coesa, è crollata miseramente. Non esiste nella sciagura alcuna compenetrazione sentimentale tra Paesi che sulla carta dovrebbero essere una cosa sola. Solidarietà: kaputt. Come sempre la prima a provare sulla propria pelle la disperante verità è stata l’Italia. Abbiamo avuto il contagio che sta progredendo con una rapidità degna di una blitzkrieg. Avremmo avuto bisogno di una grossa mano dagli altri Stati dell’Unione per fermarne la diffusione. E cosa abbiamo ottenuto? Che per prime Francia e Germania hanno bloccato alle frontiere le forniture sanitarie destinate all’Italia. Soltanto dopo forti pressioni del Commissario Ue al Mercato interno, Thierry Breton, il materiale medico richiesto, tra cui le famigerate mascherine protettive, arriverà da noi. Berlino e Parigi volevano tenere per loro le attrezzature sanitarie, poi hanno dovuto cedere. Alla faccia della solidarietà!
Ma non sono sole nella gara per stabilire chi sia più egoista in Europa. In un articolo scritto per “Politico Eu” lo scorso 10 marzo, l’ambasciatore Maurizio Massari, rappresentante permanente italiano presso l’Unione europea, ha fotografato con crudo realismo il grado dei rapporti tra Paesi Ue. Scrive Massari: “L’Italia ha già chiesto di attivare il meccanismo di protezione civile dell’Unione europea per la fornitura di attrezzature mediche per la protezione individuale. Ma, sfortunatamente, non un solo Paese dell’Ue ha risposto all’appello della Commissione. Solo la Cina ha risposto bilateralmente. Certamente, questo non è un buon segno di solidarietà europea”.
È trascorsa una settimana ma riguardo all’Europa non è cambiato granché. Al contrario, l’ottuso burocratismo che è la dominante nelle dinamiche della struttura organizzativa dell’Unione europea, ha generato l’ennesima follia. Nell’intento di varare un’iniziativa per dare denaro fresco ai Paesi membri impegnati a fronteggiare l’epidemia, la Commissione europea ha annunciato con grande enfasi un piano da 25 miliardi di euro denominato “Corona response Fund”. Di là dall’esiguità della cifra stanziata, è stata una manovra truffaldina. In pratica, Bruxelles non scuce un euro. Si limita ad autorizzare i Paesi interessati dal Coronavirus a trattenere nelle proprie casse i residui non spesi dei Fondi europei strutturali e di coesione che avrebbero dovuto restituire all’Unione. La generosità si è tradotta in un bizzarro gesto caritatevole a offrire denari che già spettavano ai destinatari. Con esiti che sfiorano il ridicolo. Già, perché il meccanismo consente all’Italia, con i suoi 23.073 positivi al Coronavirus e 2.158 morti, di beneficiare di 853 milioni di euro, mentre alla Spagna, con 8.744 casi di contagiati in totale e 297 persone decedute per Covid-19, vanno 1,16 miliardi. Per non parlare dell’assurdo di Polonia e Ungheria che ottengono rispettivamente 1,12 miliardi di euro e 855 milioni (due più dell’Italia) a fronte di 68 contagiati e 2 decessi registrati in Polonia a venerdì 13 marzo e in Ungheria di 39 casi segnalati e un morto.
Una governance europea intelligente e attenta avrebbe dovuto applicare un diverso criterio di distribuzione delle risorse, più aderente alle reali esigenze dei Paesi effettivamente attaccati dal virus. Ma tant’è. Stendiamo poi un velo pietoso sull’allucinante dichiarazione della presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, circa il disinteresse dell’Istituto centrale nel frenare gli spread tra i titoli del Debito sovrano degli Stati Ue. Dichiarazione che, per inciso, ha fatto andare a gambe all’aria Piazza Affari la scorsa settimana.
I media nostrani, sempre zelanti quando c’è da dare notizia delle bacchettate che Bruxelles e cancellerie europee infliggono al groppone italiano, diventano improvvisamente taciturni quando a raccontare la verità sul tenore dei rapporti tra l’Italia e l’Unione europea siano prestigiosi giornali di Oltreoceano. È il caso di un articolo comparso su “Foreign Policy”, magazine del gruppo editoriale del “Washington Post”, lo scorso 14 marzo dal titolo: “L’Ue sta abbandonando l’Italia nell’ora del bisogno“, a firma di Elisabeth Braw. L’autrice non è una pericolosa sovranista ma una giornalista esperta di studi strategici e di politica estera. Ricercatrice senior del Royal United Services Institute (Rusi), il più antico think tank al mondo in materia di Difesa e Sicurezza internazionale, Elisabeth Braw dirige per l’Istituto il progetto “Modern Deterrence”. Si direbbe dalle nostre parti: una che ne capisce. E cosa scrive di noi la Braw che, ribadiamo, non è la versione femminile di Matteo Salvini? “L’Italia è in blocco. Le scuole e le università sono chiuse, le partite di calcio sospese e le visite ai ristoranti vietate nel mezzo di una rapida diffusione del nuovo coronavirus nel Paese. Solo i negozi di alimentari e le farmacie sono autorizzati a rimanere aperti e solo i viaggi assolutamente necessari sono consentiti. Si potrebbe pensare che i Paesi membri dell’Unione Europea... inviino ai loro amici italiani alcuni rifornimenti vitali, specialmente dal momento che gli italiani lo hanno chiesto. Non hanno inviato nulla… La vergognosa mancanza di solidarietà dei Paesi dell’UE con gli italiani indica un problema più grande: cosa farebbero i Paesi europei se uno di loro dovesse affrontare una crisi ancora maggiore?”.
Eppure, come ricorda la stessa Braw, per gli altri, nel momento del bisogno, gli italiani ci sono stati. Quando tutto sarà passato qualche domanda sul significato di Europa unita dovremo pur porcela. Quel che è certo è che con questo profilo di organizzazione sovranazionale non si va da nessuna parte. Diranno i patiti di iper-europeismo: tali obiezioni conducono a concludere che occorre più Europa proprio per eliminare i guasti e gli egoismi che si sono palesati in questi ultimi tempi. In teoria forse è così, ma la realtà è altra cosa. I patti tra Stati, soprattutto quelli in cui è prevista una cessione di quote di sovranità nazionale, sono impegnativi ma non sono molto diversi, concettualmente, dall’istituto matrimoniale.
Ora, due coniugi possono promettersi eterno amore e ripetere all’infinito di volere una famiglia numerosa e unita, ma se poi un coniuge riempie tutte le sere la casa di gente per fare festa mentre l’altro vorrebbe starsene tranquillo tra le mura domestiche; se il marito staziona in permanenza al bar con gli amici e la moglie con il pretesto della gita con le amiche passa giorni lontana da casa con l’amante, i voti scambiati davanti al prete il giorno delle nozze e le promesse reiterate a ogni riconciliazione seguita a un litigio restano parole vuote buttate al vento: il matrimonio è finito e niente lo sana. Come alla coppia in crisi, ugualmente ai Paesi membri Ue non rimane che scegliere tra due strade alternative. La prima. Si resta insieme per salvare le apparenze agli occhi del mondo, ma si vive da separati in casa. La seconda: preso atto dell’incompatibilità caratteriale e del divario incolmabile di interessi e di gusti, si decide civilmente di andare ciascuno per la propria strada senza farne un dramma e magari cercando di restare amici, per il bene dei figli. Dimenticate per un attimo dei guai di casa vostra e scegliete quale delle due soluzioni sia auspicabile per l’Italia.
di Cristofaro Sola