venerdì 13 marzo 2020
“Beato chi ha un cane da portare a fare pipì”. L’attuale stato d’animo del malcapitato cittadino medio rispetto alle misure draconiane e discutibilissime per prevenire l’epidemia da corona virus si può riassumere così. Misure che per inciso avrebbero dovuto implicare la proclamazione dello stato di emergenza da parte del capo dello Stato per avere un valore e una copertura costituzionale. Ma per ora Sergio Mattarella questo passo non sembra avere intenzione alcuna di farlo. Quindi si va a braccio. Anzi a sondaggio. Con una rincorsa quasi folle tra dirette notturne di drammatici discorsi del premier Giuseppe(i) Conte e richieste sempre più incredibili di nuove chiusure da parte delle regioni del nord e dei virologi. Categoria che si è chiaramente sostituita ai pm d’assalto nel tentativo di condizionare in maniera autoritaria la nostra vita sociale e politica. Si capisce dal linguaggio sottilmente colpevolizzante quando non ricattatorio.
L’individuo scompare di fronte allo stato Leviatano, è la Cina che è venuta da noi per imporci il modello Wuhan al di là delle evidenze scientifiche. E con il rischio di usare questa tragedia come cavallo di Troia per la società autoritaria che piace tanto ai grillini quanto ai leghisti e a Matteo Salvini a quanto pare. Il bollettino dei morti e dei contagiati sostituisce quello degli arrestati per corruzione, per dimostrare il teorema della mano dura. E tutto si tiene così. Questo non significa ovviamente negare che l’emergenza ci sia e vada affrontata, ma contesta il metodo e il compiacimento autoritario. Anche perché se il problema sono i posti che mancano in terapia intensiva nei vari ospedali della penisola, va anche detto che gli errori, i tagli, i risparmi a cavolo, di una classe dirigente che ha agito così negli ultimi vent’anni non è che li possa pagare la cittadinanza che si trova a essere cornuta e mazziata: senza servizi sanitari e senza libertà individuali per sopperire a un errore di quella stessa classe dirigente che oggi lancia appelli patetici alla unità di intenti.
Come se fossimo nello spogliatoio di una società calcistica con 60 milioni di giocatori. Ecco fare pagare al “c.. degli altri” le proprie sottovalutazioni sanitarie, prima, e le proprie rincorse demagogiche, poi, non è esattamente la maniera migliore di governare. Tutto sommato ci trattano esattamente come i detenuti – fatte le debite proporzioni – che si è scelto di fare morire come topi tra sovraffollamento e virus corona. Uno stato paternalista e autoritario ma con i soldi nostri. Infine, le risorse economiche messe lì, dall’Italia ma anche dall’Europa, a poco serviranno se alla fine di questo casino avranno chiuso tutti i bar di Roma, Milano, Napoli, Venezia, Torino e Palermo e via dicendo, nonché i ristoranti, i locali, i pub, gli alberghi e i mezzi di trasporto privati, pullmann, taxi, Ncc, noleggio bici e auto elettriche. Con l’indotto mostruoso che queste attività del settore terziario e turistico hanno sviluppato negli ultimi anni. Dopo avere curato un’epidemia con la bomba atomica ci troveremo a curare una disfatta economica con la tachipirina, insomma. E non si sentono intenzioni dello stato di fare sconti sulla rottamazione delle cartelle, fenomeno che riguarda il 99 per cento delle categorie su nominate. Alla fine questo virus, come tante altre tragedie che ci hanno colpito negli ultimi cinquanta anni – terremoti, alluvioni e quant’altro – farà un danno ulteriore e si dimostrerà propedeutico solo ad aumentare le prepotenze dello stato sul singolo. Che non viene mai aiutato ma al massimo messo sotto tutela o – se del caso – agli arresti domiciliari sine die.
Avere dato anche a questi tecnici, i medici, i virologi, la patente di “eroi” e la conseguente tentazione della comparsata socialmediatica e televisiva prolungata, quando non perenne, sta già producendo disastri incalcolabili. Al paragone con questi nuovi “salvatori della patria”, anche i vari Marco Travaglio e Piercamillo Davigo ci sembreranno presto dei moderati e dei garantisti. Da rimpiangere, persino. Infine, ma non da ultimo, va ricordato il maramaldeggiare della categoria che si sta distinguendo a fare da grancassa a questo Ambaradan: quella dei tanti giornalisti odierni in cerca di nuovi epifenomeni che guidino le vendite. Il Messaggero suona la grancassa, ma anche La7, Repubblica e il Fatto non ci vanno leggeri. Si legge tra le righe un sottile compiacimento, si parla di “furbetti della autocertificazione”. Come se fossero i nuovi corrotti o i nuovi mafiosi. Fra un po’ chiederanno il 41 bis. Per ora c’è la “quarantena bis” e già ci basta. Ma questo non è vero giornalismo bensì sciacallaggio incosciente. Forse incosciente.
di Dimitri Buffa