venerdì 13 marzo 2020
Con l’ultimo Decreto del presidente del Consiglio è stato compiuto un passo avanti verso la messa in sicurezza di tutto il Paese rispetto alla diffusione del contagio da Coronavirus. Non è abbastanza ma è già qualcosa. Eppure, non deve essere stato facile costringere l’attuale Esecutivo a prendere decisioni che avrebbero dovuto essere adottate fin dalla scoperta del primo caso italiano della malattia.
All’inizio era stata montata dalla maggioranza una delirante polemica a sfondo ideologico. Per i progressisti chiudere i confini e isolare a scopo preventivo il Paese avrebbe significato dare ragione alla destra. Poi però è intervenuto il fattore “tempo” che, per definizione, è sempre galantuomo. E in questo caso lo è stato più del dovuto. La battaglia per sigillare il Paese se la sono intestata i Governatori delle Regioni del Nord, tutti della destra plurale, a cui si è aggiunto, facendo di necessità virtù, il Governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. L’esperienza maturata sul campo li ha resi credibili nelle proposte operative per fermare il contagio. Il decreto che dispone la chiusura di tutte le attività commerciali, con l’esclusione delle imprese che generano servizi essenziali per la collettività, è la dimostrazione che la strategia nazionale contro il Coronavirus la stanno imponendo i governatori del Nord, in piena sintonia con i colleghi del Centro e del Sud Italia, che hanno analogo interesse ad avere regole più stingenti sulla circolazione delle persone nei propri territori. La gente ha cominciato a ubbidire adeguandosi alle disposizioni impartite non perché sia stata convinta dalle contraddittorie posizioni espresse dal premier e dal suo staff, ma dal rigore esemplare che le regioni del Nord e in particolare la Lombardia hanno mostrato nel contrasto al virus.
Tuttavia, non è solo questione di opinione pubblica. Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’esperienza dell’eccellenza lombarda dovrebbe costituire la piattaforma del know-how Ue sul virus. Tutto ciò rende più decifrabili le ragioni della crescita di consenso alla Lega nel resto d’Italia. È come in una guerra. L’eroica tenuta del fronte sanitario del Nord spinge in alto il morale delle popolazioni del Centro e del Meridione desiderose di dotarsi di governi regionali che replichino per quanto possibile il modello Lombardo-Veneto. Ma la pressione della destra sul Governo ha fatto breccia anche sul fronte del sostegno economico al Paese. I pavidi filoeuropeisti, nel timore di scomodare i padroni del vapore europeo, si erano limitati a proporre un timido sforamento dell’extra-deficit per un valore di circa 7 miliardi di euro. L’azione congiunta dei partiti della destra plurale ha costretto il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ad alzare il plafond a 25 miliardi di euro. In pratica, l’equivalente di una manovra finanziaria ordinaria. Checché ne pensino i rigoristi dell’austerity nei conti pubblici, la pandemia impatterà sul sistema produttivo italiano con una potenza catastrofica. Ragion per cui è lo Stato a dover intervenire per tappare le falle del sistema, ad aiutare i suoi cittadini a rialzarsi e a ricominciare a produrre una volta terminata la fase acuta del contagio. Se non lo facesse, verrebbe meno alla sua ragion d’essere. Ma per farlo occorre danaro. Che, per come sono messe le regole comunitarie, solo l’Europa può autorizzare a spendere in deficit. In realtà, Bruxelles potrebbe fare meglio: mettere di tasca propria i soldi per sostenere l’Italia. Occorrerebbe un serio piano comunitario di misure di contenimento della crisi economico-sociale destinata ad estendersi a tutto il perimetro dell’Unione. Forse è giunto il momento degli Eurobond per garantire, nel lungo periodo (ultradecennale), la spesa prevista in scostamento di bilancio dai Paesi terremotati dal Coronavirus.
Al momento l’Europa solidarizza e promette, ma di atti concreti finora non v’è traccia. La presidente Ursula von der Leyen, sentendosi un John Fitzgerald Kennedy redivivo, si rivolge al nostro Paese con un discorso farcito di buone intenzioni nel corso del quale le scappa un ipocrita: “In questo momento in Europa siamo tutti italiani”. Che però non ha la medesima potenza evocativa di quel lontano “Ich bin ein Berliner” pronunciato dal presidente Usa il 26 giugno 1963 a Berlino nella Rudolph-Wilde-Platz, in piena Guerra fredda. Piuttosto, quello della Ursula von der Leyen è stato un lapsus freudiano che ha svelato gli autentici sentimenti dei vertici europei verso l’Unione. Se fosse stato vero l’afflato per la comune radice patria la von der Leyen avrebbe detto: “Aiutiamo l’Italia perché siamo tutti europei”. Invece, quell’immedesimarsi nello status di cittadinanza nazionale, secondo cui l’Europa è vissuta come alterità da sé, ha rimarcato la realtà: l’Unione europea non esiste come comunità di destino ma soltanto come entità regolatrice di livello sovranazionale di interessi prevalentemente economici e commerciali degli Stati associati. Ma oggi il vero volto dell’Unione è quello della signora Christine Lagarde che, interpellata sulla crisi, ha pacificamente negato che alla Banca centrale europea spetti di fare alcunché per aiutare le economie asfaltate dal Coronavirus. E quel terrificante: “Non è compito dell'istituto centrale chiudere gli spread”, palesemente rivolto alla situazione italiana, è stata una cannonata sparata al petto della Borsa di Milano. Il Ftse-Mib ha registrato un calo degli scambi del 16,92 per cento, essendo stati bruciati in un solo giorno oltre 84,27 miliardi di capitalizzazione, con uno spread schizzato a 262 punti base. Ecco cos’è l’Unione europea per noi italiani. C’è solo da sperare che, montando il contagio in tutto il Continente, Bruxelles sarà costretta a fare qualcosa, a cominciare dall’affrancare l’Italia dalla falsa rappresentazione di eccezione negativa in uno scenario comunitario di sanità perfetta e funzionante.
La variabile che ci aiuta ancora una volta è il fattore “tempo” e il suo essere galantuomo. Per settimane i “fratelli” europei ci hanno fatto la guerra additandoci come gli untori d’Europa. Si sono spinti a boicottare i nostri prodotti alimentari, a limitare i collegamenti aero-ferro-navali con il nostro Paese e a vigilare il transito autoveicolare ai confini. Non passerà molto che saremo noi a chiedere ai fratelli-coltelli di starsene a casa loro. Resta il fatto che ad oggi il quadro politico abbia subito un cambiamento radicale nella sostanza dei rapporti di forza tra gli attori politici presenti in campo. Giuseppe Conte resta premier ma le sue scelte sono condizionate dai governi dei territori che sono di colore politico opposto al suo. Che, se vogliamo, è una situazione bizzarra: un Governo di sinistra che si fa dettare l’agenda dalla destra. Con ciò dimostrando l’elementare verità emersa in superficie con la nascita pilotata del Conte-bis: non si governa il Paese avendo l’opposizione di tutto il Nord che ne è la parte più ricca e più popolosa. Ci domandiamo se non sarebbe stato meglio far evolvere il quadro politico aprendo a un Governo di salute pubblica sostenuto con pari dignità da tutte le forze politiche presenti in Parlamento. Si dirà: è l’idea di Matteo Salvini, perciò non la faranno passare. Vero, ma aggiungiamo noi: per ora. La potenza trascinatrice della crisi sanitaria ha fatto saltare tutti gli schemi. Se il contagio dovesse protrarsi oltre le previsioni, tutto tornerà in ballo. Anche l’opzione del licenziamento di Giuseppe Conte da premier e la sostituzione con un personaggio che raccolga il gradimento di tutte le parti in gioco. Riteniamo che tale sbocco politico-istituzionale sia auspicabile, a patto che non sia un “Mario Monti bis”. Anche se sappiamo che in termini elettorali non insistere sulla richiesta di scioglimento immediato delle Camere e di elezioni anticipate costerà caro alla destra. Ma viene prima il Paese e poi la bottega.
di Cristofaro Sola