Se questa è Europa

Al tempo del Coronavirus uno spettro si aggira per l’Europa: è lo spettro dell’Unione europea. Per anni ci hanno fatto il lavaggio del cervello con la visione di un’idilliaca fraternità tra nazioni del Vecchio Continente che, nella realtà, non è mai esistita. E che continua a non esserci anche ora che, per elaborare il lutto della Brexit, si enfatizza la necessità per gli europei di stare insieme nell’Unione. Sarà che siamo miopi, sarà che siamo incolti ma noi tutta questa convenienza non riusciamo proprio a vederla.

La storia degli Stati che agiscono a Bruxelles come un sol uomo è una boiata pazzesca. Non la solidarietà ma l’egoismo regna sovrano in tutte le capitali dei Paesi dell’Unione. E Bruxelles più che un centro di comando unificato somiglia a un ring dove lottatori incalliti, non educande, si tirano colpi sotto la cintola pur di fare bottino pieno. A noi italiani piacciono favole. La più fantasiosa di tutte è quella secondo cui la Comunità europea abbia garantito al Vecchio Continente il periodo più lungo di pace mai conosciuto nella sua storia ultramillenaria. È una bufala stratosferica: sono state le armi americane contrapposte a quelle del blocco sovietico nel tempo della Guerra fredda ad assicurare che i “fratelli” europei non ricominciassero a spararsi addosso l’un l’altro. Prova ne è il fatto che, caduta l’Unione Sovietica e manifestando gli alleati statunitensi un crescente disagio nel pagare in proprio costi altissimi per la sicurezza degli europei, da varie parti nel Vecchio Continente si è ricominciato ad assumere condotte ostili. Si dirà: non è così. E allora come si vuole definire il comportamento tenuto dai governanti francesi sulla questione libica? Un gesto solidale verso i “fratelli” italiani? E che dire dell’Austria che prova a sbarrare le frontiere con il nostro Paese? Qui non c’entra un fico secco la pandemia da Coronavirus. Sono anni che i “fratelli” austriaci, col pretesto della salvaguardia dell’ambiente, impongono che le merci trasportate su gomma dall’Italia si fermino al Brennero, caricate sui treni e rimesse sui Tir al confine settentrionale con la Germania, creando ritardi insostenibili alla distribuzione dei nostri prodotti. Le anime belle esulteranno pensando a quanto siano “green” gli austriaci. Green un corno! Quei galantuomini dei nostri vicini gli automezzi adibiti al trasporto pesante delle loro merci li fanno viaggiare regolarmente su strada, senza restrizioni e impedimenti. Allora l’ambiente non vale più? Per non parlare dei Paesi nordici che non ci sono per niente fratelli, neppure cugini. Ciononostante, con i nostri soldi li abbiamo aiutati a tirarsi fuori dalla melma nella quale i precedenti padroni sovietici li avevano affondati.

Ancora oggi i cordoni delle nostre borse si aprono alle loro richieste e questi ingrati come ci ripagano? Con la spocchia di chi pretende di darci lezioni di vita. Come fa il lettone vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, che in piena emergenza da Coronavirus compila la pagella sui nostri conti pubblici segnando con la matita rossa gli scarsi risultati ottenuti dall’Italia nella riduzione del debito. Alla faccia della comprensione per il dramma che sta ammazzando la nostra economia! Verrebbe voglia di rispondere: Caro Valdis hai ragione, allora sai che si fa? Si comincia a non dare più soldi al tuo Paese perché cominci a camminare sulle sue gambe a 15 anni dall’ingresso nell’Unione, poi vedremo se regge o se casca. E visto che siamo in argomento, diamo una bella sforbiciata alle spese militari che noi italiani sosteniamo per far sì che i tuoi connazionali lettoni dormano sonni tranquilli. P

roprio ieri l’altro si è conclusa l'esercitazione multinazionale Ice 1901 della Nato in missione in Lettonia, alla quale hanno preso parte 160 militari del 9° Reggimento Alpini impiegati sul terreno nell’ambito del Battle Group Multinazionale. Se siamo troppo spendaccioni, caro Valdis, vorrà dire che non sprecheremo più denari per tenerti al sicuro da improbabili aggressioni russe. Dicevano i nostri nonni che è nel momento del bisogno che si distinguono gli amici da coloro che amici non sono. È il caso della Grecia. Come italiani ci siamo svenati per mettere denari nel Fondo salva-Stati che è servito a ripagare i debiti che i Governi di Atene avevano contratto con le banche tedesche e francesi. Nei momenti neri del popolo ellenico noi ci siamo stati e abbiamo operato come Paese perché quello Stato si salvasse dal fallimento senza però perdere la dignità. Non saremmo questo modello di virtù, ma carognate ai greci non ne abbiamo fatte. Non abbiamo dimenticato il 2011 quando, per fornire prestiti, l’allora Governo finlandese chiese in pegno ad Atene alcune isole del Mar Egeo e perfino il Partenone. Noi, pure con le toppe cucite sul fondoschiena, siamo rimasti umani. E come ci ripaga oggi il “fratello” greco? Ci fa una sporca guerra commerciale sul grana padano inventandosi che potrebbe essere infetto dal Coronavirus. Verrebbe da dire ai “fratelli greci”: visto che siete così accorti, restituiteci subito i soldi che vi abbiamo prestato e facciamola finita. Ma in fatto di pugnalate alla schiena non sono soli. I “fratelli” spagnoli hanno calcato la mano sui media a proposito del diffondersi dell’epidemia in Italia. Perché hanno a cuore la nostra salute? No, per portarci via una fetta del business del turismo. Eppure, nel giugno 2012, quando la Spagna chiese il sostegno finanziario all’Europa di 100 miliardi di euro per ricapitalizzare il suo sistema bancario andato in bancarotta, vi fu anche il sì italiano all’utilizzo dei fondi salva Stati Esm ed Efsf. Dev’essere che nel Trattato di Maastricht hanno dimenticato di inserire da qualche parte nel testo la parola “gratitudine”. Poi, della serie “non si finisce mai d’imparare”, si è aggiunta la Romania che mette in quarantena le persone che arrivano dalle regioni della Lombardia e del Veneto. Ha ragione Bucarest e i fessi siamo noi. Per anni abbiamo accettato senza battere ciglio, in nome della libera circolazione nell’Unione, che da quel Paese ci scaricassero, insieme a onesti lavoratori, quantitativi industriali di feccia criminale che ha ammorbato il clima sociale nelle nostre città. Ora sono loro che ci isolano per qualche starnuto di troppo. Siamo al ridicolo. E, per carità di patria, non apriamo il capitolo immigrazione. C’è da scommettere che, nei prossimi giorni, dopo che quel ricattatore di professione del presidente turco, Recep Tayipp Erdogan, ha riaperto i campi profughi in cui ha stipato i siriani perché invadano l’Unione dalla dorsale orientale, qualcuno da Bruxelles chiamerà Roma perché si predisponga a riaprire i cordoni della borsa per accontentare il grassatore di Ankara.

Se i nostri governanti di sinistra non fossero lo zerbino di Berlino e Parigi e dei potentati di Bruxelles, dovrebbero rispondere con un secco: “Ci avete mollati sulla Libia, ora sono cavoli vostri”. L’elenco di nefandezze compiute dai “fratelli” europei sarebbe lungo e continuare a citarlo si rivelerebbe un malsano esercizio masochista. Anche perché, di là dalla miriade di esempi negativi che potremmo richiamare, resta pendente la domanda centrale: ha senso restare in questa Europa? E se sì, perché? Vorremmo risposte concrete, non ipocriti richiami a mitici manifesti di Ventotene, infarciti di buone intenzioni e di pericolose utopie. Vorremmo che ci convincessero che stare nell’Unione fa bene all’Italia. Perché noi, sinceramente, di favorevole nel rimanere non vediamo più nulla. E ogni giorno che passa, a ogni emergenza che ci colpisce tra capo e collo, va sempre peggio. Siamo rimasti soli ad ascoltare l’eco della disperante voce dell’Italia nell’assordante silenzio dell’Unione.

Aggiornato il 02 marzo 2020 alle ore 11:17