L’Happy Brexitday

Il distacco ufficiale della Gran Bretagna dall’Unione europea avvenuto il 31 gennaio 2020 entrerà nei libri di storia per far parte della serie dei grandi e significativi progressi democratici di questo Paese. Magari sarà così ricordato: “La Brexit si fece contro ogni probabilità; contro le diffamazioni e le tattiche subdole di un establishment isterico; contro un parlamento rimasto fermamente intenzionato a invertire ciò per cui i britannici avevano votato; contro i migliori sforzi dei Remainers e della macchina burocratica di Bruxelles, per impedire che la voce democratica del popolo venisse ascoltata. Contro tutto ciò la Brexit, e, soprattutto, la battaglia post-referendum per difenderla, incarnò l’affermazione paziente ma determinata della gente comune di avere il diritto di determinare il destino politico della nazione. Fu il risultato politico più significativo e stimolante dalla seconda guerra mondiale”.

Ciò che questa grande nazione ha conseguito con l’uscita dall’Europa è la vittoria della gente normale, dei cittadini sovrani contro il potere politico. E questa è, prima di tutto, la lezione della Brexit. Un paese autogovernatosi da secoli attraverso una costituzione fra le più antiche d’Europa, frutto della rivoluzione del 1642, che stabilì il principio che nessuna legge può essere approvata senza il consenso dei cittadini; un paese che a partire dalla guerra civile ha avuto come principio politico fondamentale il ripudio dell’assolutismo, non poteva rinunciare alla supremazia di un parlamento democraticamente eletto per sottomettersi a quello di Bruxelles non democraticamente eletto. Molto probabilmente sono state queste considerazioni più di quelle economiche a prevalere nel referendum del 2016 e nelle elezioni del 2019.

Brexit e la battaglia post-referendum hanno significato anche rivolta contro l’establishment locale e internazionale che ha messo in discussione e cercato sabotare in modo allarmante il voto britannico anche dopo il referendum dichiarando apertamente che il voto di massa avrebbe dovuto essere ignorato, cancellato, gettato nella pattumiera della storia, secondo il metodo e lo stile tipico delle minoranze poco rappresentative dell’intera società che però pensano di avere titolo esclusivo al controllo della narrativa politica e morale. Quindi, anche se 17,4 milioni di persone, il più grande blocco elettorale della storia britannica, hanno votato per la Brexit a fronte della più straordinaria campagna di demonizzazione che si possa ricordare, le élites al potere si sono arrogati il diritto di dare giudizi sul significato storico dell’evento. I poteri del momento: la maggioranza parlamentare, la crème imprenditoriale, accademica e intellettuale hanno usato la loro influenza per rappresentare la Brexit come un disastro economico-sociale, tossico, fascista, razzista. Nella migliore delle ipotesi, come un’iniziativa troppo difficile per sfondare.

Infine la Brexit, determinando le elezioni generali nel Regno Unito del 12 dicembre 2019, indette allo scopo di essere realizzata, è riuscita a demolire la roccaforte laburista, il cosiddetto “muro rosso” che aveva collaborato a ostacolare l’uscita dalla Ue. Nel giugno 2016, molti collegi sindacali avevano votato tradizionalmente per lasciare l’Unione europea ma da allora in poi, il Partito laburista ha fatto di tutto per ribaltare il voto organizzando pure una campagna per un secondo referendum che però offriva opzioni senza la Brexit. La sua posizione antidemocratica, portava poi il Labour party ad abbracciare anche politiche antisemite e di estrema sinistra col risultato, appunto, di fare crollare il muro rosso e favorire il distacco della classe lavoratrice di larghe zone dell’Inghilterra settentrionale, dalla burocrazia laburista.

Come appare ora lontano quel 1975 quando il Regno Unito votò per restar parte della Comunità economica europea alla quale aveva aderito nel 1972! Dieci anni dopo, nel 1985, con Jacques Delors alla presidenza della Commissione europea fu svelato il vero scopo dell’agenda europeista: la creazione degli Stati Uniti d’Europa. Delors, un arrogante funzionario pubblico francese non eletto che quando visitava paesi stranieri pretendeva di essere trattato come un capo di stato, parlando al Congresso dei sindacati del Regno Unito nel 1988, conquistò il loro sostegno promettendo che le politiche di sinistra per le quali il popolo britannico non avrebbe mai votato, sarebbero state imposte dall’Europa. Quella che era stata salutata come una stretta alleanza economica fra stati europei si stava già trasformando in un super-stato, corredato di bandiera, inno nazionale, valuta ed esercito. Margaret Thatcher allarmata per le conseguenze di tale disegno sbottò così: “No, non posso sopportare un declino della Gran Bretagna. Proprio non posso”.

Fu allora che pronunciò il famoso Discorso di Bruges, in cui, tra l’altro enuncia la sua idea di Europa: “Il mio primo principio guida è questo: la cooperazione attiva e volontaria tra stati sovrani indipendenti è il modo migliore per costruire una Comunità europea di successo. Cercare di sopprimere le nazionalità e concentrare il potere al centro di un conglomerato europeo sarebbe altamente dannoso e comprometterebbe gli obiettivi che cerchiamo di raggiungere. L’Europa sarà più forte proprio perché ha la Francia in quanto Francia, la Spagna in quanto Spagna, la Gran Bretagna in quanto Gran Bretagna, ciascuno con i proprie costumi, tradizioni e identità. Sarebbe follia cercare di costringerli in una sorta di personalità europea tipica. I paesi, come l’Unione Sovietica, che hanno cercato di fare tutto in modo centralizzato, stanno imparando che il successo dipende dal decentramento “

Ma la Lady di Ferro dopo le elezioni del 1987 era una figura già troppo isolata all’interno del governo per poter combattere con i membri del suo gabinetto che volevano aderire all’euro convinti che unendo tutti i paesi insieme avrebbero avuto un Pil maggiore degli Stati Uniti e l’euro avrebbe soppiantato il dollaro. Sappiamo invece come è andata a finire. E il peggio deve ancora arrivare. Ora, comunque, con l’Happy Brexit, “Maggie” può finalmente riposare tranquilla.

Aggiornato il 05 febbraio 2020 alle ore 12:23