Renzi e Berlusconi: movimenti e analogie

Ci sono sempre dei doppioni o simili nella nostra politica. Intesi, i doppi, non come similitudine reciproca, ci mancherebbe altro, bensì come analogia nella loro direzione, giacché parliamo di partiti. Non amici, ma neppure ostili o l’un con l’altro armati.

Per esempio, se osserviamo più da vicino il percorso in questi giorni di Italia Viva e di Forza Italia, meglio, di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi, non si può non prendere atto di una sorta di stop-and-go che li caratterizza, di una specie di zigzagare nella complessità e nella confusione.

Confusione per modo di dire, per semplificare, se vogliamo, una situazione politica peraltro non nuova da noi e che per taluni potrebbe rimembrare persino la Prima Repubblica che per decenni ha messo in campo i due cosiddetti blocchi come Democrazia Cristiana e Partito Comunista che erano diversi e nemici ideologicamente, tanto più nella ripetizione italiana di uno schema internazionale espresso da due alleanze politico-economiche nettamente contrapposte ed evidenziate, corroborate, da due patti militari.

Movimenti, come si diceva, doppi nella loro analogia; esistevano in queste due chiese-partito nel senso che tendevano verso la ricerca di un colloquio e, addirittura, col compromesso storico di stampo berlingueriano, di un accordo politico in funzione della cosiddetta grande alleanza.

Le cose, al giorno d’oggi, sono profondamente cambiate basti pensare al vuoto politico-partitico prodotto dalle leggendarie “Mani pulite”, riempito da entità molto diverse da quelle di allora, sol che si pensi alla nascita vincente (allora) di Forza Italia e alla riduzione del Pci al Pds, poi Ds con relative scissioni, ultima quella di Renzi.

Mutatis mutandis, tuttavia, non è difficile scorgere qualcosa che si muove, che cerca strade, che tende a diversificarsi lungo un cammino che mostra, appunto, delle similitudini, nella specificità della diversità pur nella fedele appartenenza a due alleanze-blocchi contrapposti.

Matteo Renzi, anche nei suoi ultimissimi show, non a caso a Cinecittà, ha di nuovo messo in allarme sia l’Esecutivo di cui fa parte sia il partito da cui è uscito ma pur sempre alleato nel Governo Conte,inviando messaggi niente affatto amichevoli al ministro di giustizia(lismo) grillino, minacciando esplicitamente di negare il suo voto, determinante per le sorti del già traballante Governo. Una minaccia peraltro attenuata dalla ribadita difesa dello stesso Governo e, dunque, dell’alleanza, oltre che con Zingaretti, con quel Movimento 5 Stelle del quale il renzismo si rivela apertamente un nemico ideologico e politico. La diversificazione di un Renzi dal 5 o meno per cento da un Nicola Zingaretti col suo venti per cento è, ancora una volta, sottolineata.

Nel campo opposto, nel blocco centrale costituito dalla Lega di un Matteo Salvini (e da una Giorgia Meloni in crescita) esiste, a quanto pare, una Forza Italia di certo ridotta, ovviamente in difficoltà e pure a rischio di scissioni, alcune già consumate, con un Berlusconi rianimato recentemente dal voto calabrese che lo sta rendendo meno ingessato, meno statico e, in un certo senso, meno rassegnato agli exploit salviniani, in alcuni dei quali, vedi citofonata ma non solo, non può identificarsi pena la dissoluzione finale del suo movimento, ispirato, come va ripetendo, ai valori liberali, garantisti ed europei con una insistenza che intende rivelare una differenza, una certa distanza, un parziale non possumus per una politica esagitata che al Nord non è vista di buon occhio dagli imprenditori, sia pure leghisti, ma sempre legati ad un’Europa di cui hanno grande bisogno, nella reciprocità.

Parlare di doppioni, come si diceva, è forse esagerato, ma dà l’idea.

Aggiornato il 05 febbraio 2020 alle ore 10:34