Costituzione ad assetto variabile

Giorgio Balladore Pallieri, chi era costui? Gentiluomo di altri tempi, Preside della Facoltà di Giurisprudenza della Università Cattolica di Milano ed Ordinario di Diritto Costituzionale negli anni Settanta, talvolta interrogava i suoi studenti domandando che differenza vi fosse tra la Costituzione Italiana e una ciabatta… la risposta era che la Costituzione è rigida mentre la ciabatta è flessibile.

Tale rigidità è intesa con riferimento alle procedure complesse previste per la abrogazione modifica o integrazione delle sue disposizioni che, esprimendo valori e canoni fondamentali di uno stato di diritto, sono a loro volta rigide nella emblematica sinteticità che Padri Costituenti del calibro di Einaudi, Croce e Calamandrei avevano scritto perché fossero immediatamente comprensibili per i cittadini che ne sono i destinatari finali.

Parametri non negoziabili, parte dei quali dedicati alla cultura liberale che deve ispirare il diritto processuale penale, baluardo dell’uomo rispetto alla pretesa punitiva dello Stato, ma che recentemente – nell’asperrimo dibattito aperto in tema di giustizia, riforma della prescrizione e del sistema processuale stesso – hanno avuto interpretazioni quantomeno singolari, per voce del consigliere Piercamillo Davigo (che non è né stupido né impreparato ed è un abile comunicatore) quasi che la nostra possa invece essere una Costituzione ad assetto variabile.

Fomentando la furia giacobina di parte dell’elettorato e dei suoi rappresentanti parlamentari prescelti, è stato lanciato l’allarme perché non vi sono innocenti ma solo colpevoli che l’hanno fatta franca, con buona pace – tra l’altro – della presunzione di non colpevolezza; è stato affermato il concetto secondo il quale le manovre dilatorie degli avvocati con l’impiego di rimedi, peraltro naturali, come appelli e ricorsi contro sentenze di condanna risultano pregiudizievoli proprio per l’assistito poiché lo allontanano – è, ovviamente ed inesorabilmente, colpevole – dal momento della espiazione della pena che ha anche funzione rieducativa mentre questa è, invero, l’unica che la Costituzione assegna, all’articolo 27 il quale ultimo, pare, sia ancora in vigore.

Un freno al malvezzo che consiste nell’esercitare il diritto alle impugnazioni – il fondamento risiede nell’articolo 24 – viene suggerito rendendo gli avvocati (unica categoria di professionisti cui, nella medesima norma appena citata, è assegnata una funzione costituzionale) co-obbligati nel pagamento delle ammende previste per i ricorsi per Cassazione ritenuti inammissibili. Non è mancato l’elogio della “riforma Bonafede” in materia di prescrizione che configge apertamente con il canone di ragionevole durata del processo stagliato all’articolo 111.

È riemerso, poi, in rete un siparietto di qualche anno fa nel quale il consigliere Davigo spiega come, nel nostro Paese, sia preferibile uccidere il coniuge piuttosto che procedere con le lungaggini di separazione e divorzio: infatti, si potrebbe risolvere il tutto con poco più di quattro sopportabili anni di carcere.

Tutto ciò partendo da una premessa falsa, e cioè che l’omicidio del coniuge sia sanzionato con pena temporanea, invece è l’ergastolo, e sostenendo la possibilità di ricorrere a semplici automatismi per il riconoscimento di numerose circostanze attenuanti. La pochade interpretata, sostanzialmente mette alla berlina un sistema giudiziario presentato come grottesco e servente senza scampo alle callide, anzi un po’ fraudatorie, iniziative difensive sebbene l’articolo 101 declini la sottomissione del giudice soltanto alla legge, stagliandone la differenza con il Pubblico Ministero: parte processuale a sua volta in accordo con quanto previsto all’articolo 107 riguardo alla distinzione delle funzioni.

Queste uscite, mai realizzate in occasione di un dibattito culturalmente elevato e confrontandosi con interlocutori all’altezza, sono essenzialmente volte a conseguire consenso a buon mercato e non fanno bene neppure a quella indipendenza della Magistratura stagliata dall’articolo 104, sempre della Costituzione, posto che “tirano la volata” e si pongono come evidenti supporti delle iniziative di una parte politica.

A fronte di una misura ormai colma, la protesta dell’Avvocatura si è, allora, manifestata in vari modi e in luoghi diversi nel corso della Inaugurazione dell’Anno Giudiziario ma si badi bene: questa mobilitazione non è stata contro qualcuno in particolare ma in difesa della Costituzione sulla quale, è bene ricordarlo, i Magistrati, prendendo le funzioni, giurano.

In fondo, difendere è la cosa che gli avvocati penalisti sanno fare meglio: questa volta è toccato a una vecchia Signora come la nostra Costituzione, forse un po’ rigida ma che merita ancora grande rispetto.

Aggiornato il 03 febbraio 2020 alle ore 17:16