Giuseppe Conte e la foto-profezia di Berlino

martedì 21 gennaio 2020


Talvolta una fotografia può dire cose che fiumi di parole non riescono a raccontare. Domenica si è tenuta la tanto attesa conferenza di Berlino sulla Libia. Ne dovremmo parlare ma, per adesso, non c’è molto da dire. In realtà, è stata un mezzo fiasco. È stato approvato un documento che vorrebbe disegnare la road map verso la stabilizzazione del Paese, peccato però che tra le molte firme dell’affollata riunione mancassero le più importanti: quelle dei due leader libici, Fayez al-Sarraj e Khalifa Haftar, che si stanno scannando in una guerra civile senza esclusione di colpi e che neppure dalla conferenza sia stato avviato un canale di dialogo diretto tra le fazioni in lotta. D’altro canto, il documento approvato è tanto generico e ambizioso da far fare alle ragazze che si sfidano per il titolo di “Miss Universo” la figura di grandi statiste. Di appena serio c’è solo l’accordo, accettato dai contendenti, della costituzione di una commissione paritaria che vigili sul rispetto della tregua. Il resto è nella mente di Dio o, se si preferisce, di Allah, essendo i protagonisti tutti di fede islamica. Saranno i fatti a incaricarsi di raccontare la verità. Ma per quelli bisognerà attendere settimane, se non mesi. Se le armi dovessero effettivamente tacere, si potrà asserire che la conferenza di Berlino sia servita a qualcosa. Diversamente, sarà stata l’ennesima inutile passerella per leader che s’incontrano, discutono, si concedono ai fotografi ma non concludono nulla.

Nel frattempo, in attesa di scoprire la sostanza, ci si accontenta di fare le pulci alle forme. Purtroppo, anche su questo terreno all’Italia non ne va dritta una. Stavolta la forma è quella di una photo-opportunity. Come è prassi al termine di un incontro multilaterale i partecipanti si fanno immortalare da uno scatto destinato agli archivi della Storia. Non che valga qualcosa. Tuttavia, studiare la prossemica dei fotografati può spiegare molto del peso specifico in autorevolezza e credibilità di ciascun personaggio. Non è raro che dalle foto possano scaturire incidenti diplomatici. Celebre quello che vide protagonista uno scanzonato Silvio Berlusconi. Era il febbraio 2002, a Caceres in Spagna. Si era appena concluso il summit dei ministri degli Esteri della Ue, a cui Berlusconi partecipava avendone assunto l’interim dopo le dimissioni del titolare del Dicastero degli Esteri, Renato Ruggiero. I ministri vengono chiamati per la photo opportunity. Berlusconi è al centro del gruppo, in seconda fila, in posizione rialzata rispetto ai colleghi schierati in prima fila. Al momento dello scatto, il premier italiano fa il gesto delle corna che sfortunatamente nell’immagine compaiono in prossimità della testa del ministro degli Esteri spagnolo Josep Piqué. Una ragazzata, proprio come le corna e le linguacce dispensate nella foto di classe dell’ultimo giorno di scuola. Ma la politica sa essere noiosa, a volte ridicola ma mai goliardica per cui: apriti cielo! Ci mancò poco che non scoppiasse un grave incidente diplomatico tra l’Italia e la Spagna per quel gesto in fondo innocente, sebbene inopportuno.

Non tutte le foto raccontano momenti gioiosi. Basti ricordare quella della cerimonia della consegna della campanella a Palazzo Chigi tra il premier uscente e quello subentrante. Era il 22 febbraio 2014, protagonisti della photo-opportunity un raggiante Matteo Renzi e un furente Enrico Letta. Erano i giorni dell’“Enrico stai sereno”. Il povero Letta era sconvolto e glielo si leggeva in faccia per come fosse stato silurato dal segretario del suo partito. Se avesse potuto, lui pisano, a quel fiorentino senza ritegno né vergogna la campanella gliela avrebbe suonata sulla testa. Le foto ufficiali lo riprendono nell’atto di consegnargliela, praticamente voltato di spalle e pronto a lasciare velocemente il luogo per evitare di doversi dire anche un solo ciao con il sodale traditore.

Oggi, a raccontare un brutta storia è la foto di gruppo della conferenza di Berlino. Tutti i leader convocati si sono messi in posa, con tanto di sorrisi a 32 denti. Di regola, il premier Giuseppe Conte, rappresentante del Paese che ha avuto in passato i maggiori interessi e più voce in capitolo in Libia e che sul terreno mantiene l’unica missione umanitaria di soccorso e assistenza alle popolazioni civili nell’area di Misurata, avrebbe dovuto comparire in prima fila. Invece, non lo si scorge. Bisogna cercarlo con la lente d’ingrandimento per trovarlo, emarginato, all’estremità della seconda fila. Il poveretto ha cercato di farsi posto tra la signora Angela Merkel e quel galantuomo di Emmanuel Macron, ma i suoi “amici” non gli hanno fatto spazio. Al contrario, il premier turco Recep Tayyp Erdogan si è premurato, non senza una punta di sottile ottomana perfidia, d’indicargli la posizione in fondo alla seconda fila.

Si dirà: sarà stato un caso. Niente affatto. Non accade mai che a un consiglio di volpi e di lupi qualcosa possa essere lasciata al fato. L’intenzione dei protagonisti delle domenica allo “zoo di Berlino” è stata di spingere fuori dall’obiettivo della fotocamera il premier italiano per dare una rappresentazione plastica della volontà di mettere l’Italia ai margini della trattativa libica. Cosa avrebbe potuto fare il povero Giuseppe Conte per evitare una tale umiliazione? Siamo alle solite. Per citare il Manzoni: “Il coraggio, uno, se non ce l'ha, mica se lo può dare”. All’avvocato foggiano, trapiantato nella capitale e finito, per un’irripetibile combinazione dei bussolotti della fortuna, a fare il Presidente del Consiglio della Repubblica italiana, non è stato concesso il dono dello spessore dello statista. Troppa grazia. Piuttosto, l’allure è quella del parvenu, del ragazzo di provincia che si è arrampicato sulla scala sociale non senza qualche innocente sotterfugio. Come pretendere che potesse avere uno scatto di dignità se, stando alla sua biografia, è già tanto esserci entrato in quella foto? Un politico di rango non gliela avrebbe fatta passare liscia a quella nidiata di serpenti. Si sarebbe limitato a girare i tacchi e ad andarsene perché, parafrasando il mesto Nanni Moretti di “Ecce bombo”: “Mi si nota di più se non ci sono per niente”. Se l’avesse fatto, se avesse disertato la foto di gruppo, l’avremmo applaudito perché una cosa la gente di destra ha iscritto nel Dna, al contrario delle quinte colonne della sinistra: quando è in gioco l’onore del Paese, non importa di che colore sia la maglia di chi lo rappresenta, si sta tutti dalla stessa parte.

Uno scatto d’orgoglio non avrebbe fatto male al morale della nazione che avrà tutto il tempo del mondo per piangere sul latte versato delle soluzioni sbagliate e delle iniziative mancate quando c’era ancora modo e spazio per risolvere in proprio la guerra per bande dei predoni libici.


di Cristofaro Sola