Il sogno ambiguo di un esercito europeo

La plateale assenza e inconsistenza dell’Europa nelle dinamiche in corso in Medio Oriente (Iran, Iraq, Siria) e in Libia è stata rilevata da molti analisti e commentatori in questi ultimi giorni dopo l’uccisione del generale iraniano Qasem Solemaini e l’acuirsi della guerra civile in corso in Libia. Qui Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan si sono affrettati a riempire il vuoto lasciato dagli europei, che avrebbero dovuto svolgere loro la funzione di arbitri e moderatori della guerra civile.

Il realismo politico impone di notare che non ci può essere una politica estera, una vera diplomazia europea, senza un’unità di intenti e senza una forza militare europea che le sostengano: entrambe infatti non ci sono e non possono essere sostituite dalla retorica del pacifismo umanitario e dagli stucchevoli inviti a “sedersi al tavolo del negoziato”.

Non tutti i conflitti internazionali hanno una soluzione diplomatica e comunque la diplomazia non ha senso senza una credibile minaccia dell’uso della forza. Ciò non significa però che dobbiamo auspicarci la creazione di una forza militare autonoma europea ed un sistema di sicurezza alternativo o complementare a quello della Nato. Senza un’unità di intenti, che non c’è e non ci sarà nel futuro prevedibile, il rimedio, come vedremo, sarebbe peggiore del male.

Dalla discussione e dalle polemiche in corso rischia, infatti, di restare sullo sfondo la questione cruciale che, come europei ed italiani, dovrebbe interessarci di più. Parlo della fine di un’epoca per la sicurezza europea: l’epoca in cui gli europei grazie anche alla Nato ed all’esistenza di un nemico comune (il comunismo sovietico), potevano contare incondizionatamente ed indefinitamente sul dispositivo militare statunitense. E per giunta senza pagare pienamente i costi della difesa e della sicurezza comune occidentale, europea e nazionale. Si sapeva che gli americani avrebbero comunque coperto i costi non solo finanziari della Nato e, alle brutte, sarebbero comunque intervenuti a togliere le castagne dal fuoco per gli europei. Questa comoda situazione (che ha consentito tra l’altro agli europei di finanziare un sistema di welfare più generoso che negli Usa), è durata per decenni ed ha diseducato le classi dirigenti europee a pensare in termini strategici e di sicurezza. Anche per questo i ripetuti inviti americani ad equilibrare il “burden sharing” delle spese della Nato sono rimasti sempre senza una risposta vera. Ma, dopo l’inattesa scomparsa del nemico (il comunismo internazionale), quell’epoca è giunta alla fine. La Nato, venuta meno la sua ragione costitutiva (il contenimento della minaccia espansiva sovietica), rischiava persino di dissolversi. È stata fatta sopravvivere anche con la creazione di un “nemico riluttante” - la Russia di Putin - che si è vista obbligata e forzata ad opporsi all’Occidente, che del tutto inopinatamente decise, su impulso americano e dei Paesi dell’Est europeo, l’espansione della Nato fino ai confini della Russia e anche a questo fine - in nome dei diritti umani e della lotta alla corruzione - la promozione delle “rivoluzioni colorate” in Paesi cruciali per la sicurezza russa come la Georgia e l’Ucraina.

In ogni caso, dopo la “Guerra fredda” gli inviti americani affinché gli europei passassero finalmente dalla cassa della Nato, espressi anche da Barack Obama, si sono fatti sempre più reiterati. Sono diventati infine pressanti e perentori con l’avvento di Donald Trump nel 2016, che ne ha fatto un punto cruciale della sua amministrazione. Nel febbraio del 2017 il segretario (ministro) della difesa americano James Mattis, in una riunione a Bruxelles, con i suoi colleghi europei della Nato lanciò un avvertimento chiaro: “O rispettate i vostri impegni finanziari o noi limiteremo il nostro impegno nella Nato”.

L’8 gennaio scorso, Trump ha mostrato cosa questo significhi in pratica ed in specie per il Medio Oriente: “Chiederò alla Nato di diventare molto più coinvolta nel processo mediorientale”. Trump non vuole solo soldi per la Nato, ma anche uomini da impiegare sul terreno in Medio Oriente, ed in specie in Iraq, a fianco degli americani. Lo ha fatto osservare, con una certa enfasi anti-americana, Alberto Negri su “Il Manifesto” del 9 gennaio, scrivendo che Trump vorrebbe “mantenere la presenza in Iraq, ridurre il rischio dei perdite umane per gli Usa e trasferirlo sugli alleati occidentali” e “usarci come carne da cannone” solo per poter continuare la sua guerra contro Teheran con missili e droni. Questa posizione di Negri è diffusa tra vari commentatori e, comunque la si giudichi, è un riflesso della divaricazione etica e politica tra Usa ed Europa e tra gli stessi europei. Molti europei non sentono – nella stessa misura degli Usa di Trump – come una minaccia per la propria sicurezza la volontà degli ayatollah di Teheran di costruire propri ordigni nucleari e le conseguenti esplicite minacce per Israele e per l’equilibrio mediorientale. Da un lato gli interessi di sicurezza europei non sono più sentiti come propri dagli Usa come lo sono stati per gran parte del XX secolo. E d’altra parte gli europei non hanno la stessa percezione degli americani sulla sicurezza collettiva occidentale. Anzi, una ricerca del Pew Institute mostra che tra il 2013 ed il 2018 è sensibilmente aumentato in Europa, tranne che in Polonia e con punte del +29-30% in Germania ed in Francia, il numero dei cittadini europei che percepiscono l’influenza americana addirittura come una “grave minaccia” per il loro Paese.

Queste tendenze contribuiscono a spiegare le ricorrenti proposte, soprattutto francesi, di costituire un esercito comune europeo. Il presidente francese Emmanuel Macron lo propose già nel novembre del 2018 e il cancelliere tedesco Angela Merkel aderì precisando che dovrebbe essere “complementare” alla Nato. Nel novembre 2019, Macron reiterò la sua proposta aggiungendo che la Nato sarebbe in stato di “morte cerebrale”, una dichiarazione che fu definita “offensiva” da Trump e che Macron dovette rimangiarsi firmando il comunicato finale del vertice della Nato di dicembre 2019 a Londra. Le proposte francesi nascondono ambizioni e sogni egemonici mai sopiti a Parigi e rafforzatisi dopo la Brexit, dato che questa ha lasciato la sola Francia come potenza nucleare in Europa. Ma quel sogno ricorre in alcuni commenti anche negli altri Paesi europei.

Che quello di una difesa europea autonoma dagli Usa sia un sogno lo dimostra il fallimento pratico tutti i precedenti tentativi in quella direzione: dall’Unione dell’Europa Occidentale (Weu), all’“Eurocorps”, alla “Brigata franco-tedesca”. Queste esperienze mostrano poi un’altra cosa: che in un esercito europeo prevarrebbero sempre e comunque le appartenenze e i differenti interessi e percezioni nazionali che, se si costituisse davvero un esercito europeo, finirebbero con il riacuire le tensioni nazionali, finora assorbite nell’ambito della Nato, grazie anche all’egemonia degli Usa. Gli Stati Uniti, data l’ormai irreversibile debolezza militare europea e il basso livello di coscienza dei problemi strategici e di sicurezza dei leader europei, restano un punto di riferimento necessario oltre che l’alleato più forte specie per i piccoli Paesi quasi privi di un apparato difensivo adeguato alle sfide del XXI secolo, come l’Italia. Quest’ultima, in particolare, non ha alcun interesse a sostituire l’egemonia americana nella Nato con un’egemonia francese nell’esercito europeo e, quindi, in Europa. Anzi, ha un forte interesse contrario.

Ciò non significa che la Nato non debba essere riorientata verso le sfide reali che deve affrontare l’Occidente. Ciò non significa nemmeno che l’egemonia americana nella Nato non necessiti di essere equilibrata da un peso europeo. Lo dimostrano la già menzionata decisione di espandere la Nato fino ai confini della Russia, creando così un “nemico”, la Russia, che poteva essere un partner e forse anche diventare un alleato, come indicava la conclusione del vertice Nato di Pratica di Mare del maggio del 2002; e che invece fu risospinta, per volontà di Obama, verso un ruolo di avversario se non di nemico. Lo dimostra la controproducente invasione dell’Iraq del 2003; e lo dimostra anche il catastrofico e falsamente motivato attacco “umanitario” alla Libia della primavera del 2011, il quale però – è bene ricordarlo – vide come promotori e complici entusiasti e volenterosi i maggiori Paesi europei.

Se gli europei vogliono davvero non essere più esclusi dai giochi internazionali e, in particolare mediorientali, se vogliono davvero proteggere i propri interessi di sicurezza nel Mediterraneo e nel mondo non hanno che una strada: dimenticare il sogno della difesa europea autonoma, e impegnarsi di più finanziariamente, politicamente e militarmente all’interno della Nato anche per rinnovarla e riorientarla equilibrando l’egemonia americana. Come nel passato, la Nato resta un baluardo di sicurezza indispensabile anche per consolidare una politica estera europea e per sviluppare così il progetto europeo.

Ma gli europei vogliono davvero tutto questo? O vogliono solo giocare il ruolo delle anime belle, umanitarie pacifiste e gaudenti? O preferiscono forse fingersi un mondo angelico in cui non esistano i conquistatori e i violenti e ogni conflitto si possa risolvere con un tavolo negoziale, un ricevimento in Ambasciata ed un pranzo di gala?

Aggiornato il 10 gennaio 2020 alle ore 13:05