Il premier italiano Giuseppe Conte ha combinato un disastro che espone il nostro Paese a una figuraccia di portata mondiale. Ansioso di rientrare in partita nella vicenda libica, il presidente del Consiglio ha pensato bene di convocare a Roma Khalifa Haftar e Fayez al-Serraj, probabilmente nell’illusione, del tutto infondata, di riportarli a un tavolo negoziale per trovare un accordo impossibile.

Haftar, astutamente, si è presentato all’appuntamento nella consapevolezza di provocare una rottura tra l’Italia e il Governo di Tripoli. Così è stato: quando al-Sarraj ha saputo che la sua visita all’alleato italiano era stata preceduta dall’incontro di Conte con il suo mortale nemico, infuriato per lo sgarbo diplomatico subìto ha fatto saltare l’appuntamento. Con un dilettantismo al limite della goffaggine, il premier italiano ha mandato in fumo quel poco di credibilità che ancora restava da spendere al nostro Paese per stare nella partita libica.

Siamo al cospetto del caso paradigmatico che mostra nei fatti come l’incompetenza e l’impreparazione di politici improvvisati non porti solo disdoro allo Stato che li ha ai propri vertici, ma crei pericolo per la sicurezza e gli interessi dello Stato medesimo. Anni di paziente lavoro diplomatico e d’intelligence spesi a garantire all’Italia una presa sul Paese Nordafricano inceneriti nel volgere di poche ore. In un mondo normale un inetto come Giuseppe Conte non resterebbe un minuto di più al suo posto. Le dimissioni irrevocabili da presidente del Consiglio dovrebbero già essere sul tavolo del Capo dello Stato. Invece, questa è l’Italia, dove è abituale scambiare i fischi per applausi!

Mentre da noi il Governo rimediava una figura di palta, altrove si decideva il futuro della Libia. Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan si sono incontrati a Istanbul per inaugurare la frazione turca del gasdottoTurkStream”, destinato a portare il gas russo in Europa bypassando l’Ucraina. A margine della cerimonia è scaturita una dichiarazione congiunta con la quale Erdogan e Putin hanno “invitato” Haftar e al-Sarraj a un cessate-il-fuoco temporaneo a partire da domenica prossima. La domanda è: i duellanti obbediranno al diktat? Lo scenario bellico è avvitato su stesso in modo tale da rendere improbabile che al momento Khalifa Haftar e Fayez al-Sarraj possano fermare il gioco. Per due opposte ragioni entrambi hanno interesse a che l’escalation militare continui ancora per qualche giorno, per definire con più chiarezza le posizioni in campo. I duellanti si stanno contendendo la presa della città strategica di Sirte, a metà strada tra Bengasi e Tripoli. Sembrava che le truppe del generale ribelle avessero avuto la meglio. In parte è vero, ma la partita è ancora aperta. Comunque, non si pensi che il successo temporaneo di Haftar sia frutto dell’azione dei cannoni. Il generale ha potuto annunciare la presa di alcune zone della città a seguito del tradimento della “Brigata 604”, una milizia locale schierata con il Governo di Accordo Nazionale di Tripoli che improvvisamente ha cambiato bandiera alleandosi con i ribelli di Bengasi. Come riporta il “Libya Observer”, il gruppo combattente “Brigata 604”, composta da elementi “Madkhali”, cioè della milizia islamica salafita, aveva il compito di assicurare la difesa interna di Sirte. Invece, ha lasciato il campo dando alle forze di Haftar, sostenute dalle ex brigate di Gheddafi, la possibilità di conseguire l’obiettivo di primaria valenza strategica senza grosso spargimento di sangue. Sirte non è soltanto la porta d’ingresso a una vasta area di giacimenti petroliferi in Tripolitania, ma è la città più vicina a Misurata, la città-Stato principale alleata di al-Sarraj e nemica giurata del generale Haftar. Sirte può diventare la base avanzata per lanciare l’attacco finale all’ultimo bastione della resistenza tripolina: caduta Misurata, Tripoli non avrebbe alcuna speranza di resistere. Se Haftar è a un passo dalla vittoria, perché dovrebbe fermarsi? Sul versante opposto, anche al-Sarraj vuole la prosecuzione dei combattimenti. Più si fa difficile la sua posizione più la Turchia, per non essere travolta nella credibilità di potenza regionale dal crollo del suo protetto, è costretta a incrementare la presenza nel teatro operativo in uomini e in potenza di fuoco.

La tregua potrebbe raffreddare gli entusiasmi dell’alleato neo-ottomano e al-Sarraj non se lo può permettere. Comunque, anche ammettendo che alla fine i duellanti accettino una temporanea sospensione delle ostilità, bisognerà stabilire con certezza a chi avranno dato ascolto: agli europei o al duo Putin-Erdogan? E volendo essere generosi con gli imbelli leader europei, ammettendone un qualche merito nello stop alla guerra, come essi pensano di rimarcare nel concreto la propria autorevolezza? Se si riuscisse a far tacere le armi governanti europei seri e responsabili dovrebbero nell’ordine: 1) Precipitarsi ad allestire un contingente militare da inviare di gran carriera a Tripoli per schierarlo come forza d’interposizione tra le parti in lotta; 2) Disporre un blocco navale di tutta la costa libica; 3) Imporre una “No-fly zone” su Tripoli. Sarebbe l’unico modo per garantire il rispetto del cessate-il-fuoco.

Ogni altra pseudosoluzione “diplomatica” si rivelerebbe una presa in giro. E che truppe europee, e italiane in particolare, debbano sbrigarsi a partire per il “bel suol d’amore” lo impone una circostanza piuttosto sottovalutata dai media in questi giorni. Nell’area di Misurata è operativo il presidio del contingente militare italiano impegnato nella Missione bilaterale di supporto e assistenza alla Libia “Miasit”. Sul campo vi sono circa 400 nostri militari che, tra le altre attività, assicurano la sicurezza del personale dell’ospedale militare italiano posto al servizio della popolazione civile di Misurata. Se l’attacco alla città da parte delle truppe di Bengasi dovesse coinvolgere il contingente italiano, il Governo giallo-fucsia dei dilettanti allo sbaraglio sarebbe costretto a reagire, pena lo scatenarsi in Italia di una sollevazione popolare. Dunque, tenere lontano Haftar da Misurata è una polizza sulla vita del Governo Conte bis. Ma pendagli da forca della specie di Haftar non li si ferma a suon di preghiere e marce della pace. Servono armi più potenti per zittire altre armi: si chiama deterrenza. L’Italia qualcosa ha ancora nel suo arsenale. Ma ha in plancia di comando dei pericolosi pacifisti. E come ammoniva il grande Indro Montanelli parafrasando lo statista francese Georges Clemenceau: “La pace è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai pacifisti”. Quindi delle due l’una: o ci teniamo questo Governo di incapaci e improvvisati e diciamo addio alla Libia oppure stimoliamo la protesta popolare per liberarci degli abusivi del potere nell’auspicio di salvare il salvabile. Magari per ritrovare un’oncia di quella dignità nazionale che ieri è stata gettata alle ortiche dal colpevole dilettantismo di Giuseppe Conte.

Aggiornato il 09 gennaio 2020 alle ore 12:00