Stampa e Procure: il peccato originale

Ora che la libertà di stampa sembra volgere all’epilogo, ora che i cronisti si sono assuefatti a diventare i cantori e gli aedi delle res gestae di questa o di quella procura – con alcune, prepotenti, che si incazzano pure se a loro avviso qualcuno non ne cita le opere in maniera adeguata – varrebbe la pena di tornare indietro con la memoria quando vennero poste le basi di questa tragedia. Perché esiste sempre un peccato originale, se solo si voglia vederlo.

È stata proprio la stagione giudiziaria iniziata grosso modo con la strage di piazza Fontana – e proseguita per quindici anni con i terrorismi di destra e sinistra – a fornire a chi coltivava, forse anche inconsciamente, un disegno autoritario di controllo sociale sulla mente degli italiani, il giusto pretesto per chiedere “pieni poteri”. E i quotidiani all’epoca si accodarono a mo’ di fanfara. Da quel momento l’arretramento delle garanzie degli imputati nel processo penale non è più… arretrato. Leggi speciali chiesero e leggi speciali furono. Le ottennero i pm che si auto-dichiaravano “in prima linea nella lotta contro il terrorismo”.

Finito il quale, la lotta di cui alcuni si autoproclamarono sacerdoti, invece di attenersi alla applicazione della legge e lasciare al Governo e alle forze dell’ordine il contrasto alla criminalità come sempre era stato, si spostò sulla mafia. Ancora ricordo quando venne approvata la legge sui pentiti del terrorismo. Sui giornali era facile leggere che “mai queste leggi eccezionali dovranno essere applicate alla criminalità mafiosa, altrimenti lo Stato democratico ne subirebbe tutte le conseguenze più nefaste”.

I Panebianco e i Galli della Loggia dell’epoca non si risparmiarono. Ma non andò così. Già nel 1983, e ancora non c’era la legge varata per il pentimento di Tommaso Buscetta, l’esperimento del pentitismo venne tentato con il caso Tortora. Il mezzo infame con cui doveva venire perseguito il fine sublime dell’annientamento della Nco di Raffaele Cutolo. Andò come andò. Una lunga interminabile stagione di lotte e di carriere costruite all’ombra di queste lotte da tantissimi funzionari dello Stato senza molti scrupoli – al netto degli eroi veri che vennero anche sfruttati alla bisogna – attendeva gli italiani. Se non bastava la lotta alla criminalità organizzata, andava bene anche quella alla criminalità disorganizzata. Alla pedofilia, agli stupri e a tanti gravi fenomeni, a scalare, tra cui la corruzione. Lotta, quest’ultima, che fece da anticamera al fenomeno parallelo coltivato in vitro dell’antipolitica. Da “Mani Pulite” in poi. E ora che il tasso di omicidi e di crimini in Italia è circa un quinto di quello degli anni Settanta, in cui era molto meno presente l’invasività da grande fratello nei poteri di indagine dei pm, ci sta chi propone anche le intercettazioni ambientali per il reato di omicidio stradale. E fra poco anche il passaggio con il rosso – giammai del pedone – diventerà reato.

Una società siffatta, fagocitata da uno Stato con velleità autoritarie sia pure da operetta, è quella in cui ci tocca vivere e forse anche morire. Se a qualcuno prenderà un bel giorno un attacco forsennato di onestà intellettuale, ce lo faccia sapere. E contemporaneamente non corra subito a prendere un antiemetico, questo ipotetico qualcuno, qualora fosse persino vittima di un attacco di vomito per l’ipocrisia con cui i fenomeni giudiziari sono trattati sui giornali, al solo scopo di avere notizie e godere della luce riflessa del pm di turno. Aspetti che l’attacco passi. Come quelli di panico. Poi però, prima di scrivere ancora e adulare i pm come gli storici romani trattavano degli imperatori, ci pensi almeno dieci minuti. Potrebbero essere gli ultimi dieci della libertà di stampa in Italia.

Aggiornato il 08 gennaio 2020 alle ore 09:50