
Riportano gli organi di stampa che il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, dopo aver propiziato una colossale operazione contro la mafia calabrese, con numeri sbalorditivi (arresto di circa 300 persone, 416 indagati, ordinanza di custodia cautelare di circa 13mila pagine, ben 5 milioni di fotocopie) e pur dopo aver constatato che il giorno dopo tutti i siti e i giornali dedicavano ampio spazio all’operazione, si è molto lamentato nel corso di una trasmissione televisiva di cui era ospite. E si è lamentato perché il giorno successivo – vale a dire due giorni dopo l’avvenuta operazione – i principali quotidiani italiani (Corriere della Sera e Repubblica) dedicavano alla vicenda spazi solo nelle pagine interne e non nella prima pagina, come invece aveva mostrato Il Fatto Quotidiano.
Insomma, per Gratteri i grandi giornali avrebbero sostanzialmente boicottato questa notizia e secondo lui bisognerebbe pure chiedersi perché ciò sia accaduto, da parte dei proprietari degli stessi.
Ora, a sollevare molte perplessità non è soltanto il fatto che Gratteri sembra quasi pretendere di dettare ai quotidiani i criteri di impaginazione, spodestando direttori e redattori, ma soprattutto il fatto che dietro quella domanda che egli suggerisce di porsi ai proprietari – vale a dire perché ciò sia accaduto – si sottintende in modo insinuante una idea davvero inaccettabile. Sembra cioè che Gratteri intenda sottintendere che le direzioni dei quotidiani abbiano appositamente – dolosamente – quasi nascosto la notizia e non invece che l’abbiano fatto per aver giudicato – forse sbagliando, ma forse no – che dopo 48 ore fosse opportuno dare la prevalenza ad altre notizie più “fresche” .
Questa tesi, non tanto obliquamente introdotta da Gratteri, va rigettata per almeno due buoni motivi.
Per un verso, Gratteri non può ignorare infatti che per la normale tempistica giornalistica – soprattutto negli ultimi anni in cui il tempo pare aver preso una corsa rapidissima e inarrestabile – 48 ore costituiscono un lasso temporale ragguardevole e che perciò spesso il trascorrere di un tale periodo consacra la necessaria preminenza – sui quotidiani – di altre notizie successive alle precedenti: queste notizie nuove reclamano insomma la prima pagina.
Se Gratteri ignora queste regole non scritte del normale giornalismo, si informi adeguatamente.
Per altro verso, la tesi di Gratteri adombra una sorta di ambigua connivenza delle direzioni dei grandi quotidiani con le forze che vorrebbero porre sotto silenzio la notizia della grande retata contro la mafia calabrese.
Questa conclusione che Gratteri non esplicita in modo chiaro, ma appunto lascia intendere, invitando le proprietà a chiedersi la ragione per la quale i giornali abbiano relegato la notizia nelle pagine interne, non solo è falsa, ma anche indebita: indebita in quanto falsa.
Falsa, perché non è affatto credibile che le direzioni dei più grandi quotidiani italiani – in tutte le loro componenti costituite dal direttore, dai vicedirettori, dai caporedattori, dai redattori – siano di fatto fiancheggiatrici occulte della mafia calabrese e risulta perfino offensivo perfino pensarlo, ben prima dal lasciarlo intendere.
Possiamo escludere in modo categorico che tutti costoro abbiano perciò in modo doloso cercato di sminuire il senso complessivo della retata condotta da Gratteri, trattandosi invece di una diversa e ponderata valutazione dell’ordine di priorità delle notizie da trattare e diffondere. Può darsi che abbiano errato in questa valutazione, ma nulla di più. E se di errore si trattasse ben diverso avrebbe dovuto essere il tono usato da Gratteri nelle sue lamentazioni.
Proprio in quanto falsa, la conclusione cui giunge Gratteri è perciò anche del tutto indebita, perché non assistita da quel minimo di giustificazione che deve accompagnare sempre le affermazioni pubbliche di chi – come Gratteri – svolga una funzione così delicata e importante.
Per tutte queste ragioni, non sarebbe male che Gratteri – da persona sensibile e assennata quale è – tornasse a riflettere sulle proprie conclusioni che – messe come lui le ha messe – prima di offendere gli altri, offendono lui stesso.
Aggiornato il 27 dicembre 2019 alle ore 17:27