Caso “Gregoretti”: Salvini nel centro del mirino

Sulla vicenda della richiesta di autorizzazione a procedere ai sensi dell’articolo 96 della Costituzione contro il senatore Matteo Salvini per i fatti del luglio 2018 riguardanti lo sbarco ritardato degli emigranti dalla nave della Guardia costieraBruno Gregoretti” (identificativo CP 920), non condividiamo l’ottimismo di taluni autorevoli opinionisti che preconizzano un “nulla di fatto” nell’assalto dei magistrati del Tribunale dei ministri di Catania all’ex ministro dell’Interno. Al contrario, riteniamo che la questione giudiziaria, così come incardinata dai giudici siciliani, sia una bruttissima gatta da pelare per il leader della Lega. Se il Senato della Repubblica, a maggioranza dei suoi membri, dovesse decidere che l’inquisito non ha agito “per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo”, per Salvini si metterebbe malissimo.

Di regola, in un Paese normale, il Parlamento neanche dovrebbe essere sfiorato dal sospetto di una strumentalizzazione delle vicende giudiziarie a fini di lotta politica. Ma siamo in Italia dove, con una sinistra egemone innervata dal populismo giustizialista grillino, è ragionevole temere il peggio. Non solo per le sorti personali del senatore Salvini, ma per la tenuta dello stato di diritto. In primo luogo, si dia un taglio all’ipocrisia del politico che dovrebbe “difendersi nel processo anziché dal processo”. Qui l’immunità non c’entra nulla. Nel caso in esame i senatori sono chiamati non a stabilire se Salvini sia colpevole o innocente, ma a riscontrare il preminente interesse pubblico nell’atto compiuto dal ministro dell’Interno e contestato come reato dal Tribunale dei ministri.

Nel merito, per i giudici Salvini è già giudicato colpevole del reato di sequestro di persona aggravato previsto e punito dall’articolo 605 del Codice penale Comma I e II n. 2 e III, “per avere nella sua qualità di ministro dell’Interno, abusando dei suoi poteri, privato della libertà personale 131 migranti di varie nazionalità a bordo della unità navale ‘B. Gregoretti’ della Guardia costiera italiana dalle ore 00,35 del 27 luglio2019 sino al pomeriggio del successivo 31 luglio 2019”: la sentenza di condanna è di fatto anticipata nelle motivazioni della richiesta di autorizzazione a procedere.

Tuttavia, stigmatizziamo la politicizzazione delle argomentazioni del Collegio giudicante nei confronti non già di una persona ma di un indirizzo politico che è stato quello a cui il Governo dell’epoca ha orientato la sua azione. Il giudizio di colpevolezza si fonda su una forzatura, ai limiti del paradosso, dei fatti accaduti e ricostruiti in fase istruttoria. Fatti per i quali la stessa Procura di Catania, competente a svolgere le indagini preliminari, ha chiesto l’archiviazione del procedimento, ritenendo che non sussistesse alcun comportamento delittuoso a carico dell’indagato. L’elemento su cui ruota il giudizio di colpevolezza di Salvini è la sussistenza del requisito, che integra il reato di sequestro di persona, della durata di tempo apprezzabile nella privazione della libertà personale dei migranti presenti sulla nave “Gregoretti”. In particolare, rileva il fatto che il ministro abbia volontariamente ritardato la concessione da parte degli uffici del suo ministero del Pos (Place of Safety), cioè l’indicazione del luogo sicuro presso il quale la nave avrebbe dovuto concludere le operazioni di recupero e salvataggio cominciate con il recupero a bordo dei migranti.

In base alla ricostruzione fatta dalla Procura di Catania, tutto ha inizio alle ore 18,30 del 25 luglio 2019 quando il comandante della “Gregoretti” riceve l’ordine di dirigere a nord dell’isola di Lampedusa per ricevere a bordo un numero imprecisato di migranti che stavano per essere soccorsi in due distinte operazioni della Guardia di finanza e di una motovedetta della Guardia costiera. La “Gregoretti” arriva al punto stabilito alle 05,51 del 26 luglio. Alle 7,30 il trasbordo è completato con l’imbarco di 135 migranti. Il Comando generale delle Capitanerie alle 7,40 ordina alla “Gregoretti” di dirigersi verso il porto di Catania dove riceverà comunicazione del Pos. Alle 00,35 del 27 luglio la “Gregoretti” è alla fonda fuori del porto dal capoluogo etneo. Alle 18,10 dello stesso giorno il Comando delle Capitanerie comunica al comandante della nave che il probabile Pos sarebbe stato individuato presso il pontile della Nato nel porto di Augusta. Alle 19,28 viene fatta sbarcare a Catania, per motivi sanitari, una donna nigeriana in stato di gravidanza insieme al marito e ai 2 figli minori. La “Gregoretti” lascia le acque catanesi alle 23 e giunge all’attracco nel porto di Augusta alle 3,15 del 28 luglio. Il giorno successivo, su richiesta del comandante della nave, il ministero dell’Interno autorizza lo sbarco di 16 migranti dichiaratisi minorenni. Il 30 luglio la Procura di Siracusa dispone un’ispezione sanitaria a bordo della “Gregoretti” prendendo atto della relazione redatta dalla dottoressa Stefania Agata Reale, del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, presente a bordo, e delle relazioni dei medici infettivologi incaricati dal pm della Procura di Catania i quali riscontrano segni clinici di malattie infettive su 29 dei 116 migranti visitati. Il 31 luglio il ministero dell’Interno autorizza lo sbarco dei migranti e il loro contestuale trasferimento all’hotspot di Pozzallo.

Questi i fatti per i quali Salvini rischia 15 anni di carcere. E il comportamento criminoso? Il fatto che il ministero dell’Interno non abbia tempestivamente comunicato il Pos alla “Gregoretti”, a fronte della richiesta del 27 di luglio ma solo 4 giorni dopo. Ininfluenti i chiarimenti resi in sede d’interrogatorio dal viceprefetto vicario di Siracusa, Filippo Romano, per il quale l’attesa nell’assegnazione del Pos sarebbe giustificabile con i tentativi che il ministro Salvini stava conducendo per ottenere il ricollocamento dei migranti presso altri Stati europei. Riferisce Romano: “Per noi già dal 30 luglio era evidente la volontà ministeriale di autorizzare lo sbarco tanto che ci dicevano di prepararci all’accoglienza”.

Qui sta il punto politico dell’iniziativa del Tribunale dei ministri: l’idea di far passare per via giudiziaria il principio (ideologico-culturale) di un automatismo obbligato, in base a una forzatura interpretativa delle normative internazionali, per cui lo Stato di primo contatto debba concedere lo sbarco in luogo sicuro in “tempo reale” e contestualmente alla richiesta di Pos da parte della nave dei soccorsi. Quindi, nessun margine di discrezionalità il giudice concede all’autorità del ministro dell’Interno per vagliare la situazione o per valutare eventuali rischi per la sicurezza dello Stato derivanti dallo sbarco in terraferma di stranieri non identificati. È contestata dai giudici, con argomentazione metagiuridica, la decisione del ministro dell’Interno di aver agito in coerenza con il principio (politico) che la frontiera marittima non sia italiana ma europea e che ciò comportasse un’assunzione di responsabilità in sede comunitaria e di rapporti con gli altri Stati partner. Partendo da una valutazione tecnico-giuridica sulla possibile configurabilità della scriminante dell’esercizio di un diritto o dell’adempimento di un dovere di cui all’articolo 51 del Codice penale, il Collegio deborda dai confini della giurisdizione per concludere che: “Nel caso di specie va osservato come lo sbarco di 131 cittadini stranieri (al netto della famiglia nigeriana sbarcata a Catania, ndr)non potesse costituire un problema cogente di ‘ordine pubblico’”.

Alla luce di tale considerazione assertiva è lecito chiedersi chi è che si prende la briga di fare un mestiere che non gli compete. Con un simile costrutto argomentativo non deve far temere, per la tenuta dello stato di diritto, la circostanza che dei giudici se la prendano con un politico di destra, ma l’indirizzo politico-culturale veicolato dal Tribunale giudicante attraverso la richiesta di autorizzazione a procedere. La politica tutta dovrebbe fare argine a tale invasione di campo, in nome del sacro principio della separazione dei poteri. Invece, siamo al cospetto di pigmei della politica che approfittano di un procedimento giudiziario per regolare vendette personali e di partito. Molto si è detto della pochezza di Luigi Di Maio e del suo voltafaccia all’ex alleato leghista. Ma peggio di lui ha fatto la Presidenza del Consiglio, che ha offerto ai giudici catanesi l’assist per affondare Salvini. La richiesta di autorizzazione a procedere reca in premessa la nota della Presidenza del Consiglio che, a domanda del Tribunale dei ministri se la decisione di ritardare lo sbarco dalla “Gregoretti” fosse stato un atto collegiale del Consiglio dei ministri, l’11 ottobre 2019 risponde: “Nell’unica riunione del Cdm del 31 luglio 2018... la questione relativa alla vicenda della nave ‘Gregoretti’ non figura all’ordine del giorno e non è stata oggetto di trattazione nell’ambito delle questioni ‘varie ed eventuali’ nel citato Cdm né in altri successivi”.

Una pugnalata alla schiena di Matteo Salvini confezionata dagli ex alleati grillini che è degna della politica praticata da omuncoli. Purtroppo però gli omuncoli sono ancora al Governo del Paese. Per nostra disgrazia.

Aggiornato il 23 dicembre 2019 alle ore 12:10