La prescrizione è la sintesi finale della presunzione di non colpevolezza

Pubblichiamo uno stralcio della relazione dell’avvocato Enzo Vitale del Foro di Catania pronunciata in occasione del 69esimo Congresso nazionale di studio dell’Unione Giuristi cattolici italiani, dal titolo “Diritto e diritti nell’età secolare”, svoltosi a Roma il 6 e 7 dicembre 2019

[...] Da un terzo versante, non posso non ricordare la recente vicenda della prescrizione, della quale molti mostrano di non sospettare neppure lontanamente l’autentico statuto giuridico.

È noto che un recente provvedimento, che dovrebbe aver vigore dal prossimo gennaio, blocca il decorso della prescrizione dei reati dopo la sentenza di primo grado, senza peraltro neppure distinguere fra decisione di condanna e di assoluzione.

Si inaugura in tal modo una nuova sovranità del legislatore esercitata addirittura sul decorso del tempo, il quale – secondo i normali ma oggi negletti principi del diritto, che ancora si preoccupavano delle esigenze della giustizia – può essere sospeso (per riprendere da dove era stato fermato), interrotto (per riprendere da capo), ma non bloccato (per non decorrere mai più in eterno).

Si dimentica tuttavia che il tempo – ancora una volta – non è nella disponibilità di nessuno, neppure del legislatore, e che perciò ipotizzare una trasformazione della dimensione temporale nel verso della completa stasi ad infinitum equivale a porsi addirittura oltre il sacro, la celebrazione del quale conosce certo il tempo liturgico, ma come tempo che si affianca a quello ordinario, senza in alcun modo violarlo: anzi, valorizzandolo.

Inoltre, la prescrizione si pone in sintonia con la presunzione di non colpevolezza, di cui costituisce una sorta di sintesi finale, nel senso che il diritto riconosce che se entro un determinato tempo – commisurato alla gravità del resto contestato – la pubblica accusa non è riuscita ad ottenere una decisione di condanna, allora a prevalere è il favor libertatis: l’imputato – per ragioni di giustizia – non potrà più essere perseguito.

Sicché depotenziare o addirittura privare di effetto giuridico la prescrizione equivale a ledere in modo irreversibile la presunzione di non colpevolezza, a prescindere dalla circostanza, di sapore kafkiano, di un essere umano che, dopo la sentenza di primo grado, potrà rivestire la qualifica di imputato in servizio permanente effettivo anche – in linea di principio – per tutto il resto della propria vita.

Il processo penale in questo modo non sarà più di durata eccessiva: sarà eterno.

Siamo così in presenza di un Diritto penale del dominio sul tempo e sulla giustizia: una ingiustificabile iper-cronocrazia.

Aggiornato il 17 dicembre 2019 alle ore 13:50