Prescrizione, al maratoneta lento non serve togliere il traguardo

martedì 10 dicembre 2019


Relazione pronunciata in occasione della maratona oratoria organizzata a Roma dall’Unione delle camere penali per la verità sulla prescrizione.

Signor ministro, se potesse ascoltarmi, vorrei provare a farle capire il nostro pensiero con franchezza e semplicità su alcuni temi.

- Vorrei dirle e spiegarle che se il maratoneta non riesce a fare il tempo, non serve a nulla eliminargli il traguardo davanti; servirebbe invece allenare meglio il maratoneta.

- Vorrei dirle e spiegarle che, nell’ordine naturale delle cose, esistono ragioni per cui se una cosa comincia è anche bene che finisca.

- Vorrei dirle e spiegarle che la norma che sta per entrare in vigore è pacificamente incostituzionale: qui, però, dovrei anche dirle e spiegarle il senso profondo dell’articolo 111 della Costituzione e, lei mi capirà, non ne abbiamo il tempo.

- Vorrei dirle e spiegarle che le persone (le donne e gli uomini) hanno vite che continuano, nonostante i processi. Sì, signor ministro, anche quelli tra le donne e gli uomini che hanno commesso reati e persino quando i reati sono gravi. Perché, vede ministro, essi non sono il reato che hanno commesso; essi, guardi un po’, hanno figli, amici, genitori, fratelli che soffrono con e per loro.

- Vorrei dirle e spiegarle, signor ministro, che il processo penale non conosce vittime e carnefici, ma solo imputati e persone offese, fino a che la sentenza non sia definitiva.

- Vorrei dirle e spiegarle che gli avvocati non hanno mezzi per dilatare strumentalmente i tempi del processo e che, dunque, quello che le raccontano i suoi referenti “culturali” e cioè che gli avvocati sono una lobby e che possono annacquare i tempi del processo addirittura, senta un po’, con eccezioni di nullità o con l’introduzione di decine di testimoni (come se le nullità non fossero a salvaguardia dei diritti dei cittadini e a controllo della legalità del processo e i testimoni non fossero ammessi dal giudice che li valuta sul numero e sulla qualità), quello che le dicono questi suoi referenti culturali, dicevo, non è solo impreciso, ma è semplicemente falso!

- Vorrei dirle ancora, signor ministro, che tentare di recuperare voti – quegli stessi voti che avete sperperato allegramente per incompetenza politica – con provvedimenti così assai approssimativi (e non parlo della lingua italiana sulla quale altri potrebbero dire meglio di me, ma proprio della struttura, del contenuto e delle implicazioni), deliberare leggi come questa per recuperare voti, dicevo, significa tante cose ma, fra le altre, è segno della incapacità di mettere sul cuore altro che gli interessi propri a restar seduti lì dove ci si trova; significa, in questo caso di specie, consegnare il futuro di questo Paese a un processo infinito che distrugge la vita degli imputati e delle persone offese; di quelli di oggi, ma anche di domani (e ricordate, la campana suonerà ancora e quando succederà non chiedetevi per chi suona); e significa, infine, consegnarsi nudi al giudizio della storia. E la storia, signor ministro, come dice il mio amico Vincenzo Comi, non fa sconti a nessuno.

- Vorrei ancora dirle e spiegarle, signor ministro, che se lei definisce “conquista di civiltà” l’abrogazione di un istituto che, appena qualche anno fa, già Demostene agitava nell’orazione “pro Phormione”, allora, signor ministro, lei avrebbe anche il dovere di spiegare a quale civiltà si riferisce, perché non è certamente la nostra, né capiamo quale sia.

Ecco io avrei voluto dirle tutto questo, signor ministro. Ma il contenuto delle sue interlocuzioni più recenti, la sua “prossemica” ridanciana e la vacuità di quanto in queste ore andate dicendo, lei e i suoi Vati, mi spiegano che questa legge è mancante, al fondo, della grammatica delle “cose del processo”. E quando manca la grammatica, questo lo capisce anche lei ministro, è perfettamente inutile provare a spiegare quasi tutto. Una cosa però posso dirgliela, ministro, a lei e tutti coloro che in queste ore hanno la responsabilità e la possibilità di scegliere: il processo è una malattia che a tutti può capitare di contrarre; se ne può morire. Ma l’imputato ha diritto di provare a guarire difendendosi. E, prima ancora, egli ha il diritto incomprimibile di non restare ammalato per sempre!

(*) Avvocato penalista del Foro di Roma


di Giuseppe Belcastro (*)