Le anguille di Voltaire

Riordinando la mia piccola biblioteca, ho ripreso in mano il libro “Il Bel paese con brutti mali”, un diario italiano del triennio 2010-2012 che scrissi annotando le piccole e grandi magagne che ci affliggono. Ho constatato che non sono granché cambiate, né per grandezza né per natura. Eppure abbiamo avuto maggioranze e governi presentatisi e autodefinitisi rottamatori, innovatori, del cambiamento, sovranisti, anti-ideologici, eccetera. Tutti i governi che si sono succeduti hanno marciato a passo spedito, esibendo l’impazienza tipica dei “riformatori” in fregola, convinti di doversi sbrigare perché consapevoli del daffare e ambiziosi di farlo subito. Mentre erano così occupati a rinnovare la società secondo disegni per lo più affrettati e cervellotici, non si accorgevano (ma forse sì, eccome!) di lavorare alacremente ad accrescere il debito pubblico, lavoro nel quale dispiegavano effettive capacità politiche. Infatti è l’unica funzione dello Stato non asfittica, purtroppo. Sicché si può dire che solo il male va bene, in Italia.

Secondo Voltaire, è un pregiudizio ritenere che le anguille guariscano dalla paralisi sol perché si agitano sempre. E in effetti il pregiudizio lo verifichiamo nella realtà quotidiana. I nostri governanti sono più che anguille, capitoni agitati, inconcludenti e sguscianti. L’elenco delle inadempienze comprova l’irresolutezza di governi e maggioranze incapaci persino di stappare il buco della vasca mentre l’acqua ne trabocca, ma capaci di discuterne mentre vi affogano. Governare non significa più indirizzare e guidare (gubernator era il capitano-timoniere della nave) il Paese, ma disquisire in modo fatuo al capezzale della nazione morente. Qui voglio proprio ricordarlo alle moltitudini di stupidi italiani, che non leggono più (forse non hanno mai letto, e si vede!) Pinocchio, la quintessenza del nostro popolo, il burattino non già intagliato nel legno bensì nella nostra carne viva d’Italiani. I medici più famosi furono chiamati dalla Fata turchina per salvare la vita a Pinocchio. Accorsero un Corvo, una Civetta, un Grillo parlante. “Vorrei sapere da lor signori – domandò la Fata – se questo disgraziato burattino sia vivo o morto”. Il Corvo rispose: “Il burattino è bell’e morto, ma se per disgrazia non fosse morto, allora sarebbe indizio sicuro che è sempre vivo”. La Civetta replicò: “Mi dispiace di dover contraddire il mio illustre amico e collega. Per me, invece, il burattino è sempre vivo; ma se per disgrazia non fosse vivo, allora sarebbe segno che è morto davvero”. E il Grillo parlante concluse: “Io dico che il medico prudente, quando non sa quello che dice, la miglior cosa che possa fare è quella di stare zitto”.

Non mi rimane che ammettere sconsolatamente che, nella realtà odierna, i nostri dirigenti sono uguali al Corvo e alla Civetta, mentre il Grillo parlante della favola è l’opposto del Grillo vivente, che ha smesso di farci ridere designando a governarci certi suoi allievi presuntuosi e ciarlieri che, invece di stare a sentire, parlano a vanvera e fanno le peggior cose, emuli e comprimari di tanti altri della stessa pasta.

Aggiornato il 30 novembre 2019 alle ore 16:26