sabato 30 novembre 2019
Quando il nostro direttore indica nel caso Renzi una sorta di “discredito” della magistratura prodotto da vent’anni di forsennato giustizialismo, causa non ultima della delegittimazione della castale magistratura, ha acceso un faro su uno dei più seri guai del nostro Paese.
Abbiamo a che fare, da tanto tempo, col protagonista assoluto dei mass media, e del loro circuito: il presunto colpevole. In genere, questa star è preceduta dall’annuncio del leggendario avviso di garanzia (di garanzia, avete capito bene) col cui sigillo la condanna è già stata emessa secondo lo stile memorabile di Tangentopoli. Nel caso di Matteo Renzi, non c’è traccia (almeno per ora) dell’avviso di cui sopra, mentre impazza da giorni il trionfo della negazione (mediatica) di qualsiasi garanzia, appunto perché la presunta colpevolezza fa aggio su qualsiasi altra considerazione nel Paese dei grillini, del giacobinismo giudiziario la cui longa manus si estende dal Governo al circuito mediatico-giudiziario. Con il precetto massimo di ogni Stato di polizia dove non esistono innocenti ma colpevoli non ancora scoperti.
Non a caso si parla di “modello 45”, che è lo strumento costruito per mettere in moto le cosiddette reti a strascico: non si conosce il reato ma si conosce il reo, quindi si dà il via a un’indagine alla cieca, in cerca di reato e reo in una sorta di kafkiana consequenzialità in cui non c’è reato, non c’è reo, ma vanno cercati perché si ha l’idea che possano esserci.
Ma se è vero che l’infinita storia avente per titolo “sbatti il mostro in prima pagina” si è arricchita con i casi di Bettino Craxi, Silvio Berlusconi, Matteo Renzi (domani, avanti un altro “mostro”), non meno vero è che un’altra delegittimazione invero totale è in corso da un ventennio riguardante la politica, già colpita e affondata dalle mitiche inchieste supportate dall’insostituibile circuito mediatico, con i suoi esponenti colpevoli della cosiddetta catastrofe italiana dietro cui si stagliava e si staglia l’operato funesto di quella Casta “divenuta, nella sua caricatura obesa e ingorda, una oligarchia insaziabile che ha allagato l’intera società italiana”(testuale).
I colpi di maglio anti-Casta, prendendo di mira il Parlamento, sono proceduti imperterriti già con l’iniziale contestazione dell’immunità parlamentare istituita come diritto e garanzia per ogni eletto dal popolo e sono andati avanti con ulteriori giri di vite – vedi la Legge Severino – dalla riduzione drastica del numero degli eletti senza una riforma obbligatoria per collegi e rappresentanze, dal giustizialismo urlante di un Beppe Grillo auspicante l’apriscatole per aprire la scatola di tonno del Parlamento sull’onda rimembrante dell’“aula sorda e grigia da trasformare in un bivacco di manipoli”.
In questo quadro di una costante opera dovuta a ben precise forze politiche (non meno che mediatiche) di togliere legittimità, di irridere ad ogni azione, di svuotare di ogni significato anche storico un Parlamento divenuto a sua volta Casta, la perdita di peso e di dignità della Polis ha condotto al più grave dei dissesti, l’ultimo secondo gli schemi implacabili della nemesi: quello del governo del grillino Giuseppe Conte che si muove, appunto, nel vuoto assoluto, non in grado di trovare qualsiasi soluzione, piccola o grande; ma capace, invece, di evocare manette, tribunali, carceri e condanne esemplari, ovviamente facendo alla svelta, senza processo e, va da sé, sulle picche innalzate col favoloso circuito mediatico.
In questo panorama di macerie dove spicca l’entità e la forza della vera Casta, sempre ravvivata dal sunnominato circuito, sta assumendo aspetti per certi versi oscuri non tanto l’atteggiamento renziano nei confronti di un simile apparato, quanto quello riguardante una maggioranza e il suo governo del quale è sostenitore e pure decisore. Si tratta di un Esecutivo nel quale, a parte i due ministri di ItaliaViva, dire che l’ex Presidente del Consiglio è visto di malocchio è in un certo senso grottesco, giacché da Zingaretti a Conte fino a Di Maio la loro ostilità è del tutto evidente mentre appare del tutto contraddittoria, a cominciare dal piano squisitamente politico, la scelta renziana di una collocazione – post-scissione in nome del moderatismo – a sostengo decisivo di una maggioranza e di un governo di sinistra. Quando, con una scelta diversa e sempre in nome di una politica credibile, della quale lo stesso Renzi ne proclama il ruolo centrista e moderato, potrebbe mandare a casa proprio quel governo i cui tentacoli giacobini si nutrono di giustizialismo e di manette erga omnes. Difendere un governo amico è da saggi. Tenere in piedi un governo di nemici può rivelare una sindrome pericolosa: di Tafazzi.
di Paolo Pillitteri