
Vedo che il Partito Democratico potrebbe chiedere un rinvio dell’entrata in vigore delle nuove norme sulla prescrizione. Perché un rinvio? Quale ragione c’è di rinviare l’efficacia di una legge regolarmente approvata ad un passo dalla sua operatività? Se non piace, se non la si condivide, la si cambia, o la si cancella addirittura. Basta dirlo.
Le cose, però, non stanno così. Le nuove regole sulla prescrizione furono sospese perché – diceva il fenomeno Guardasigilli – si sarebbero innestate su un impianto riformato. Insomma: noi l’approviamo, ma sarà efficace l’anno prossimo, quando avremo riformato il Codice. L’anno che verrà è passato, mentre la riforma si trova ancora in gestazione e non promette nulla di buono.
La richiesta di rinvio, fatte queste precisazioni, potrebbe avere un senso se inserita in un organico disegno che preveda una revisione profonda di quell’obbrobrio. Diversamente, serve soltanto a non gettare benzina sul fuoco che sta cucinando un’alleanza innaturale. Al Pd non vogliono che la prescrizione sia cancellata, ma devono pur sopravvivere. Devono, però, avere il coraggio di dire là verità: quella legge è una boiata pazzesca, un segno di resa dell’intero sistema, che riconosce la propria incapacità di amministrare la Giustizia in tempi ragionevoli.
Con gente come Alfonso Bonafede non si discute e non si collabora. Al più, li si spedisce a frequentare l’intero ciclo della scuola dell’obbligo, sperando che serva.
Non è vero che si può mediare tra le parti politiche in materia di riforme della Giustizia. Non c’è nulla da mediare. Comunque la si prenda, la riforma voluta dal ministro è inaccettabile e va rispedita al mittente. Mediare significa accettare di discuterne, magari confidando di ridurre i danni. È già successo, nel 2017 e anche prima.
Chiunque abbia un minimo di sensibilità politica capisce quando è il momento di ribaltare il tavolo.
Aggiornato il 29 novembre 2019 alle ore 10:43