Il paradosso delle Sardine

giovedì 21 novembre 2019


Sardine, sardine, sardine. In questi giorni in cui piovono sardine e ogni genere di boutades sul movimento che prende il loro nome, sta nuotando verso le piazze delle maggiori città italiane, nemmeno fossero salmoni, e viene fieramente definito spontaneo, apolitico, apartitico dai suoi promotori, l’entusiasmo e l’acclamazione per le taumaturgiche adunate anti-salviniane ha fatto slittare in secondo piano lo sprezzo del ridicolo assunto dalla protesta dei pescetti, pressati perché non sfugga che sono moltissimi e silenziosi (resta ignoto quali pesci non lo siano).

Ora, passi la scelta di lanciarsi in un pigia-pigia ittico contro il governo di turno, di qualunque colore politico esso fosse, invece che assestarsi su una bella fetta di pane abbrustolito e imburrato. Ma in tutta la terra, che la si voglia sferica o piatta, si stanno riempiendo le piazze e si levano le proteste e le rivolte antigovernative per la difesa dei valori democratici, della libertà, dell’equità sociale ed economica. In Italia, invece, che si fa? Ci si spinge oltre, dando vita ad un nuovo, ma già logoro movimento spontaneo e apolitico, che da Bologna a Modena a Reggio Emilia, da Genova a Torino fino a Milano, Firenze e Roma sta inondando le maggiori città italiane. Perché, dicono i promotori, la testa torni a vincere sulla pancia. Come? Scendendo in piazza e contestando l’opposizione. Sì, proprio quella porzione di rappresentanza politica che, non appartenendo alla maggioranza che governa, non prende parte al potere esecutivo ed è alternativa alla maggioranza parlamentare. Un avvitamento delle naturali dinamiche della dialettica politica così sfacciato da rendere risibile la sfacciata pretesa di narrare la genesi del movimento ricco di Omega3 in termini di spontaneismo apartitico e di pacifica sollevazione della società civile.

Chiunque non sia esattamente un fesso si sarà domandato a quale categoria dell’anima del pacifismo vostro appartenga la richiesta contro Salvini di “un giustiziere sociale” da parte di un attivista del movimento delle sardine. Così come avrà subito previsto che il tentativo di ammantare di verginità civica e spontaneismo un movimento di protesta i cui organizzatori e promotori o fanno a vario titolo riferimento al Partito democratico o a liste civiche collegate ai democratici quando non sono addirittura impiegati nelle segreterie di Romano Prodi e dell’ex Pd renziano e zingarettiano, sarebbe fallito. E che l’imbarazzante e maldestro tentativo di una sinistra sempre meno attrattiva e in crisi identitaria di avvantaggiarsi elettoralmente del proprio camouflage nell’apolitico banco di sardine, sarebbe stato scoperto. Il programmino, davvero minimo, è evidente: ricalcare ottusamente le fallimentari strade del passato con cui si è tentato di alimentare e far fruttare politicamente le adunate “apolitiche”, dal popolo viola al popolo dei fax, ai girotondi, che nei decenni hanno caoticamente innervato e preteso di riformare le scelte politiche nel nostro paese.

Perché tanto autolesionismo resta un mistero. E nemmeno l’aver escluso tatticamente da parte degli organizzatori alcun legame delle sardine trans urbane con il Pd nella comune battaglia per sLegare tutto il possibile, tranne, evidentemente, neuroni e sinapsi, è di una qualche utilità al Pd. Piuttosto è la drammatica riprova della sorte che attende il Partito democratico. Considerato dallo stesso candidato alla Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini talmente deleterio per la campagna elettorale contro la candidata leghista Lucia Bergonzoni da ritenere giusto sbianchettarlo nei suoi cartelloni elettorali e profili social, è sempre più probabile che il Pd sarà forse costretto a presenziare alle future, “pacifiche ribellioni civichesenza bandiere o striscioni o sigle di sorta ma anche alle iniziative dei suoi stessi candidati in qualità di convitato di pietra. Con o senza i travestimenti da democratiche sardine con cui la maggioranza politica cerca di mettere a tacere l’avversario politico. Sì, quello che non sta al governo ma all’opposizione.


di Barbara Alessandrini