Affogato al cioccolato

martedì 29 ottobre 2019


L’affogato al cioccolato è una delle squisitezze che si gustano in Umbria durante la festa di Eurochocolate. Domenica scorsa, però, ad affogare non è stato il gelato alla crema, ma sono stati i partiti della coalizione del governo nazionale, uniti anche alle elezioni umbre.

Il mascheramento civico della coalizione, con l’aspirante presidente spuntato dalla così detta società civile, avrebbe dovuto risollevare le sorti dei giallorossi, ma non ha sortito l’effetto sperato. La batosta è arrivata impietosa. Diciamo la verità: era intuibile che quel mascheramento non servisse a molto, ma non era immaginabile che portasse al disastro per come certificato dalle urne. Movimento 5 stelle, Pd e Leu hanno sperato fino all’ultimo, fino all’imbarazzata foto di Narni, di arrivare al 45 per cento dei voti. Non ce l’hanno fatta, la frana li ha travolti e la coalizione non ha raggiunto il 35.

È probabile che gli elettori abbiano voluto punire non tanto o soltanto la mala gestione della cosa pubblica delle trascorse consiliature, quanto l’accrocco nazionale dei gialli e dei rossi cucito da Renzi e Grillo, il fatto che quell’accrocco sia stato trasportato di peso a livello regionale e, per l’appunto, il mascheramento messo in scena per fingere il cambiamento di pelle del Pd, ma in realtà teso a dissimulare la paura della sconfitta da parte sia dei rossi, sia dei gialli. È stata infatti la paura, ancora una volta, il vero e più profondo sentimento che li ha uniti. Gli umbri non hanno dato credito a questi giochi di palazzo, a queste alchimie di laboratorio. E hanno fatto bene, perché anche la canzonatura ha un limite.

E ora, cosa accadrà? Scioglimento delle Camere e nuove elezioni, nell’immediato, sono da escludere, com’è da escludere una crisi di governo con la “semplice” sostituzione del presidente del Consiglio. Giuseppe Conte rischia senz’altro di essere impallinato dal fuoco di Renzi e Di Maio, e forse lo sarà davvero, ma non adesso, i tempi non sono maturi. A meno che ai risultati del voto umbro non si sommino fatti di altra natura, che scalzino Conte su terreni diversi.

Al di là di ipotesi del genere, nell’immediato assisteremo ad aggiustamenti, magari di peso, interni alla coalizione e interni alle singole forze che la compongono. Il gioco forse cambierà, con implicazioni decisive sulla durata della legislatura, solo dopo le elezioni regionali dell’Emilia Romagna e della Calabria, a gennaio prossimo, e le nomine nei grandi enti pubblici, che avverranno tra gennaio e aprile. A condizione, però, che prima delle nomine non venga celebrato il referendum confermativo della legge costituzionale di riduzione dei parlamentari, che potrebbe anch’esso occupare il calendario primaverile.

Per chiarire meglio e detto fuor dai denti: quella legge non fa comodo a nessuno, neppure a coloro che hanno issato la bandiera della vittoria sul pennone della demagogia. A molti, quindi, interessa votare prima dell’eventuale appuntamento referendario, così da evitare il rischio della riduzione dei seggi alle prossime elezioni. Per la maggioranza, però, le nomine sono un piatto troppo ghiotto per chiedere al presidente della Repubblica lo scioglimento del Parlamento ancor prima di averle compiute.

Assisteremo, allora, molto probabilmente, a un gioco ad incastro di date e circostanze politiche più o meno pretestuose in modo da evitare sì il referendum, ma al tempo stesso consentire il cambio dei vertici di Poste, Terna, Leonardo, Fincantieri, Enel, Eni, Ansaldo Energia e molte altre società. Più di 500 posti a disposizione della maggioranza.

Solo se l’incastro riuscirà, allora, il “fuoco amico” potrebbe costringere il presidente Conte a salire al Quirinale per arrivare a nuove elezioni. Se l’incastro non riuscirà, è invece possibile che Conte sia ugualmente costretto alle dimissioni, ma le forze politiche dell’attuale maggioranza provino a formare un nuovo governo con un nuovo premier. E infatti, se il referendum venisse celebrato e dovesse confermare la riduzione dei seggi, cadrebbe l’interesse ad andare subito alle urne. Meglio, per loro, tentare l’accordo su una nuova legge elettorale. Il segnale che viene dall’Umbria, dunque, per ora può attendere. Prima c’è qualcosa di molto appetitoso da sistemare. Una vera leccornìa, altroché voto!


di Alessandro Giovannini