
Ci siamo. Due giorni all’alba delle urne regionali umbre. Comunque finirà, checché ne dicano Cinque Stelle e Partito Democratico, sarà un risultato storico. In un senso, o nell’altro. Se la spunterà la nuova formula demo-penta-renziana, approntata in funzione anti-Salvini, il cosiddetto “modello umbro” verrà replicato nelle altre regioni, man mano che andranno al voto, fino a consolidare una definitiva incorporazione del Cinque Stelle nel campo largo della sinistra. Se, viceversa, sarà una vittoria della destra, se per la prima volta la nuova coalizione nella formula della destra plurale dovesse espugnare una delle roccaforti rosse per eccellenza, le ripercussioni sul piano nazionale saranno inevitabili. Il trionfo dell’alleanza guidata da Matteo Salvini porrebbe in evidenza il pasticcio combinato in pieno agosto dagli apparati istituzionali non più al servizio a tempo pieno della democrazia nel nostro Paese per impedire il legittimo esercizio della sovranità popolare. Sarebbe l’ennesimo colpo alla credibilità delle forze di sinistra che, abbandonata ogni finzione sul rispetto delle regole democratiche, antepongono alle prerogative costituzionalmente garantite ai cittadini la questione dell’egemonia del partito sullo Stato e sulla società, nella prospettiva rivisitata dell’utopia comunista. E sarebbe un’altra pesantissima ombra sul Quirinale per il modo partigiano con il quale ha gestito la crisi di Governo.
Il premier Giuseppe Conte, che più di tutti teme l’esito del voto di domenica, si è affrettato a precisare dall’Eurochocolate di Perugia, di cui era ospite, che il voto dell’Umbria non è determinante per lo sorti del Governo visto che la regione del Centro Italia ha un elettorato numericamente inferiore a quello della sola provincia di Lecce. Il che, detto da un foggiano, suona quasi un insulto. Ovvio che non c’è da credergli, lo dice perché ha paura ma il voto umbro conta, eccome. È il primo test, sebbene per un bacino elettorale ridotto, sulla novità del Governo giallo-fucsia. Si dirà, che c’azzecca la polemica nazionale con il voto amministrativo in una regione? I chiamati alle urne si presume debbano avere a cuore le esigenze primarie della cittadinanza, fatte di trasporti regolari, di ospedali efficienti, di uffici pubblici che funzionano. Insomma, roba concreta, non interrogativi sui massimi sistemi. Eppure, non è così.
Le urne, di qualsiasi livello, sono sempre un’occasione per manifestare un giudizio complessivo sulla condizione del Paese, che va oltre la domanda dettata da bisogni specifici. Si prenda il caso del referendum confermativo per l’adozione della riforma costituzionale proposta dal Governo Renzi e celebrato il 4 dicembre 2016. Fu un disastro per Matteo Renzi, lo bocciarono il 59,12 per cento degli italiani con una percentuale di partecipazione considerevole (65,48%) per un evento referendario. Ora, pensate che tutti gli italiani che votarono “no” fossero dei raffinati giuristi che avendo esaminato attentamente il testo di riforma approvato dal Parlamento si erano risolti a bocciarlo? Lo hanno capito anche i sampietrini di Montecitorio che in quel “no” era riassunto un giudizio negativo sul Governo Renzi. Ugualmente, domenica è offerta agli umbri l’occasione di esprimersi a nome di tutti gli italiani sull’accrocco demo-penta-renziano. Non è dato di sapere in anticipo come finirà. Dei sondaggi, come al solito, non c’è da fidarsi. Ma di certe manovre della comunicazione asservita alla sinistra, sì. Se le cose non si fossero messe al meglio per la destra, probabilmente la trasmissione televisiva “Report” su Rai 3, non si sarebbe esposta a un’accusa di partigianeria per aver mandato in onda lo scorso lunedì “Moscopoli”, una bella inchiesta ad orologeria sul presunto finanziamento illecito richiesto (ma non ottenuto) da oscuri faccendieri ai vertici dell’azienda petrolifera statale russa Rosneft Oil Company, da girare per il tramite di Eni alla Lega di Matteo Salvini. Si dirà, ma è la libera informazione. Che però, guarda caso, spara nel mucchio a destra alla vigilia del voto umbro. Perché gli autori di Report non hanno mandato in onda anche una bell’inchiesta sugli scandali nella sanità umbra riconducibili ai vertici del Partito Democratico nella regione? Sarebbe stato un modo onesto per dare un’informazione completa e imparziale. Invece no, hanno colpito in una sola direzione. E sono azioni di killeraggio mediatico come questa che rendono inattendibile un certo giornalismo d’inchiesta. È storia antica: il padrone è nervoso e chiama, il servo zelante risponde. Ma sia chiaro, una vittoria domenica della destra plurale non comporterà in automatico la caduta del Governo giallo-fucsia. Tuttavia, uno scossone potrebbe provocare l’effetto del si-salvi-chi-può nelle fila della maggioranza. Sono noti infatti i molti mal di pancia che hanno colpito sia parlamentari piddini sia grillini. Al momento però gli scontenti tacciono, segno che sono in attesa dell’esito umbro. Se dovesse andare male per la nuova sinistra giallo-fucsia tutto potrebbe accadere. Ma non è da escludere che, anche in presenza di una sconfitta pesante, gli incerti prima di muoversi vorranno attendere la controprova che potrebbe venire dall’altro voto-bandiera atteso per l’inizio del nuovo anno: le regionali in Emilia-Romagna. I rumors che si odono dalle parti del Nazareno dicono che, se dovesse crollare la regione più rossa d’Italia, verrebbe giù tutto. Governo compreso. Al momento la palla è nel campo grillino.
Per capire cosa ne sarà del Governo giallo-fucsia si dovrà osservare il risultato dei Cinque Stelle di domenica. Alle politiche del 2018, nella circoscrizione dell’Umbria il Movimento Cinque Stelle ha totalizzato 140.731 voti, pari al 27,53 per cento dei votanti che sono stati 525.978 (78,23 %). Nel 2015, alle passate regionali, il Cinque Stelle ha raccolto 53.458 voti, il 14,31 per cento dei consensi. Un numero di voti, nelle urne di domenica, sotto la soglia di sicurezza fissata a quota 53mila certificherebbe l’eclissi del grillismo. Ultimati i conteggi, gli oppositori interni al Movimento potrebbero decidere di uscire allo scoperto e mettere in crisi la leadership di Luigi Di Maio con tutto quel che ne consegue. Potrebbe accadere che stavolta il “vaffa!” più convinto se lo becchi proprio il suo inventore, il comico che si fece politico e da politico si fece pagliaccio: Beppe Grillo. Si tratta d’ipotesi. Al momento di certo non resta che un grido di battaglia da urlare e non sussurrare: Forza umbri, la Storia vi attende.
Aggiornato il 25 ottobre 2019 alle ore 09:59