
Nel gran parlare che si fa di Roma, le punzecchiature reciproche fra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, con una Virginia Raggi entrata nel cerchio (poco) magico di una crisi non solo di governo locale, soccorre la notazione del direttore quando puntualizza che al sindaco di Roma può ben attagliarsi la definizione di “terzo incomodo fra Movimento grillino e piddini”
La Capitale soffre di una lunga stasi dovuta oggettivamente a chi la governa, ma non può non richiamare l’attenzione sul Governo vero e proprio nel senso che la sua “decadenza” riflette inevitabilmente quella che bonariamente vorremmo chiamare l’assenza autentica di un impegno riformatore del quale proprio l’attuale disegno cangiante della ipotesi di bilancio ne è la testimonianza.
Come ricordano gli storici più autorevoli l’antica, fatale decadenza di Roma, che pure fu la “superpotenza più longeva della storia”, avvenne con le sue sconfitte e con l’arrivo di bande di invasori primitivi, barbari, ritenuti quasi incapaci di organizzazione e di pensiero razionale. E nell’arco di tre, quattro generazioni, Roma si spopolò da oltre un milione di abitanti a 40mila non solo sull’urto di imponenti migrazioni germaniche, ma grazie anche alla presenza sempre più decisiva dei barbari nell’esercito romano. Ma il processo di decadenza ebbe altri importanti fattori, a cominciare dal calo demografico, dalla crisi economica e produttiva, dalla perdita di coesione sociale in un contesto ambientale in cui erano precipitate le condizioni igieniche soprattutto con la cronica incapacità dello smaltimento dei rifiuti.
Non vorremmo qui evocare similitudini drastiche con la Roma di quasi duemila anni fa, ma quest’ultima causa, che gli storici mettono in evidenza, richiama inevitabilmente certe somiglianze attuali che non si allargano all’intero Paese di oggi (per fortuna) ma che, pure, non possono lasciarne indifferenti i governanti.
E la stessa indicazione della Raggi come terzo incomodo ne sottolinea il fattore e la portata non soltanto di futura competizione locale, ma vale soprattutto come metafora nazionale a sua volta evidenziando i pesanti limiti nelle prospettive presenti e future della compagine guidata da Giuseppe Conte sul quale, non a caso, si riversano le ripetute critiche di Matteo Salvini.
I limiti sono del resto messi in chiaro davanti alle forze politiche – compresi i frequenti “appunti” di un Matteo Renzi come partito di maggioranza ma col fucile puntato – dai pressoché cambi di registro sia a proposito di tassazioni con le merendine dei bambini e col taglio al numero dei parlamentari, sia a trovate simili ai giochi di società come il voto ai sedicenni, sia al reiterato ritornello della canzone recitata da tutti i governi dal titolo “basta con l’evasione, pagare tutti per pagare meno!”, mentre il coro ne accompagna le girevoli mutazioni in una sorta di gioco degli specchi in cui, a ben vedere, si riflettono le incertezze, gli andirivieni, gli stop and go ora di Giuseppe Conte ora di Luigi Di Maio e compagnia cantante.
Il senso di queste, che una bonaria parola definisce come incertezze, ad altro non può che riferirsi alla incapacità vera e propria di un Esecutivo che sulle questioni più cruciali non possiede una sua visione autonoma e strutturata nelle scelte da compiere, ove si rifletta, ad esempio, che sul problema scottante della giustizia, e nel silenzio assordante di un Partito Democratico alla deriva, la cosiddetta riforma del ministro Alfonso Bonafede inneggia bensì alla riduzione (a parole) della durata dei processi lasciando intatta (nei fatti) una prescrizione a lungo, lunghissimo termine per gli imputati a vita, come del resto richiedono le ispirazioni populiste e giustizialiste del popolo pentastellato.
Per non dire delle roboanti prese di posizione, prima, durante e dopo le elezioni, contro le linee guida in materia di migranti e di sicurezza volute dall’allora ministro Salvini, assicurandone cambiamenti, aggiustamenti e adeguamenti: linee guida e decreti messi in sordina (per fortuna) il che indica, se mai ce ne fosse bisogno, il rovesciamento dell’antica massima in un predicare male e razzolare bene. Almeno per ora.
Aggiornato il 04 ottobre 2019 alle ore 10:18