
La giornata politica di ieri si è caratterizzata non per il gioco delle tre carte (così l’ha definito Giorgia Meloni) del Governo giallo-fucsia sulla prossima manovra finanziaria ma per il fatto che la Lega abbia centrato l’obiettivo di presentare entro la scadenza del 30 settembre il quesito referendario sull’abrogazione della parte proporzionale contenuta nel “Rosatellum”, la legge elettorale in vigore.
È stato il senatore Roberto Calderoli, super esperto leghista di sistemi elettorali, a recarsi presso la Suprema Corte di Cassazione a depositare la richiesta avanzata da otto Consigli regionali per la creazione di un “Popolarellum” basato su un sistema maggioritario puro. La notizia, pur non avendo goduto di grande enfasi presso i media, è destinata a provocare un sisma nella maggioranza penta-demo-renziana.
Mettiamola giù così: la richiesta referendaria è come una bomba ad orologeria, ieri Calderoli ha provveduto a regolare il timer per programmarne l’esplosione nel momento desiderato. L’aver presentato la documentazione entro il mese di settembre fa sì che la Corte costituzionale, ai sensi della legge 25 maggio 1970, n. 352 che disciplina il procedimento di richiesta di referendum popolare ex articolo 75 della Costituzione, debba esprimersi sull’ammissibilità del quesito entro il prossimo 10 febbraio. Se ammesso, la consultazione dovrà svolgersi per legge in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno successivi. Cioè nel momento più favorevole all’opposizione per colpire e affondare il Governo. Non a caso la sessione di votazione referendaria cadrebbe a ridosso delle elezioni regionali. Il combinato disposto dei due voti potrebbe trasformarsi in una sentenza di condanna inappellabile per Giuseppe Conte & compagni. Tutto questo alla faccia del solito mainstream mediatico che si sforza, invano, di spiegare agli italiani che Matteo Salvini, la Lega, il centrodestra sono finiti. Qualcuno, mettendo le mani avanti, si è affrettato a dire che il quesito proposto non passerà il vaglio della Corte costituzionale. Si vedrà. Per ora non partecipiamo all’insano vezzo della politica italiana di inventarsi tuttologa a seconda delle convenienze del momento. Non essendo dei giuristi ci asteniamo dall’infilarci in inopportune diatribe tecniciste che volentieri lasciamo agli addetti ai lavori.
Quel che invece preme mettere in luce, in barba all’interessata cecità del mainstream, è la rappresentazione plastica di forza data da Salvini con tutto il centrodestra in tale circostanza. Gli otto Consigli regionali che a maggioranza assoluta hanno deliberato di presentare il quesito referendario significano qualcosa. C’è tutto il Nord produttivo nell’istanza depositata ieri. Quel Nord che il Presidente della Repubblica ha deliberatamente ignorato nell’atto di decidere della sorte della legislatura. Quel Nord che, miserevolmente, gli odierni governanti provano a punire azionando politiche in palese contrasto con gli interessi della parte produttiva del Paese. Ma non c’è solo il Nord. Ci sono anche la Sardegna, l’Abruzzo, la Basilicata, cioè realtà disagiate e mortificate da anni di politiche economiche sbagliate.
Insomma, c’è l’Italia dei territori che poi è il Paese reale che non si riconosce nei congiurati asserragliati nel Palazzo, nel nome di una difesa a oltranza del parlamentarismo che sulle loro bocche suona come una bestemmia. La sensazione è che una destra plurale e compatta si stia preparando ad abbattersi come l’onda di libeccio destinata a travolgere fragili frangiflutti approntanti in tutta fretta su fangose barene dalla raccogliticcia maggioranza giallo-fucsia.
Il primo impatto, violentissimo, è atteso per la notte di domenica 27 ottobre, quando si conosceranno i risultati del voto regionale in Umbria. Ad oggi gli algoritmi che generano i sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani danno ancora i Cinque Stelle intorno al 20 per cento. Vedremo cosa uscirà dalle urne dove si contano non i sentiment ma i voti reali. Siamo ben consapevoli che qualsiasi cosa dovesse accadere l’imperativo categorico degli impostori penta-demo-renziani, impegnativo per tutti loro, resta quello di tenersi incollati al potere a qualsiasi prezzo. Tuttavia, sarà interessante osservare come penseranno di tacitare il popolo mettendo in piedi una riforma della legge elettorale in senso totalmente proporzionale, in pendenza di una richiesta referendaria che va in senso opposto. Loro resistono nei Palazzi? La tattica migliore sarà l’accerchiamento sottraendogli progressivamente il controllo dei territori. Se non dovesse bastare l’Umbria, subito dopo ci saranno l’Emilia-Romagna e la Calabria che andranno al voto.
Intanto, la canaglia multiculturalista ha ricominciato a riempire di immigrati clandestini il Paese. A Palazzo Chigi pensano, o forse sperano, che gli italiani non se ne accorgano? È questione di tempo ma la nuova destra plurale riuscirà nell’impresa di prendere il “Palazzo d’Inverno”. Bisogna avere un po’ di fiducia e, soprattutto, non si deve prestare ascolto ai menestrelli prezzolati degli odierni padroni del vapore che raccontano una storia fasulla facendo passare i vivi per morti e i pavidi e gli opportunisti per eroi. Tutto inutile, prima o dopo la mano possente della volontà popolare calerà il suo colpo di maglio. Ricordatevi di Matteo Renzi e della sua pretesa di riscrivere la Costituzione per governare a lungo il Paese. Probabilmente la maggioranza di coloro che in quell’indimenticabile 4 dicembre del 2016 dissero no neanche ne capivano di leggi e di architetture istituzionali. Ma della possibilità di usare la scheda referendaria per notificare un ordine di sfratto all’indesiderato inquilino di Palazzo Chigi, lo avevano intuito benissimo e non se lo fecero ripetere due volte. Che l’auspicato referendum che ieri ha cominciato il suo cammino procedurale sia destinato a regalarci un altro “4 dicembre”? È una speranza, o un augurio, o una previsione, o una certezza. Decidete voi.
Aggiornato il 01 ottobre 2019 alle ore 11:06