Dalle amnesie di Minoli agli slogan di Di Maio

Si sa, la radio è un po’ meno invasiva della televisione ma è pur sempre un medium che entra, come si diceva e si dice ancora, nelle case di tutti. Nel senso che è seguita. E pure cambiata, ci mancherebbe altro e, non a caso il Renzo Arbore di oggi ne sta ricordando, su Rai 2, un grande protagonista come l’amico Gianni Boncompagni, che passò poi alla televisione lasciandovi sempre impressa l’orma del genio della battuta, del racconto, dello sketch.

Il racconto, dunque, è una delle pregevoli prerogative radiofoniche purché, beninteso, faccia ridere in programmi a ciò finalizzati o susciti attenzione in occasione di dirette o, se del caso, faccia pensare se si tratta di trasmissioni a sfondo storico. E chi c’è meglio di un Giovanni Minoli, ascoltando un suo special su Radio Rai 1? Sovvenendoci le sue capacità narrative abbiamo verificato più volte nella sua lunga carriera in televisione; chi c’è meglio di lui, per esempio, nel narrarci la figura di un Aldo Moro, uno dei massimi leader della Dc e della politica italiana, e della sua fine tragica ad opera dei terroristi delle Brigate rosse?

Abbiamo seguito con meritoria attenzione il procedere dello special minoliano che, per l’occasione, si giovava del collegamento con Macaluso (Pd) e con Guerzoni (già Dc). Abbiamo aspettato la svolta narrativa a proposito delle scelte politiche e, infine, del sequestro e dell’omicidio di un personaggio che fu parlamentare, segretario della Democrazia cristiana, presidente del Consiglio, già promotore di vere e proprie svolte nella complessa Polis di casa nostra, a cominciare da quella del centrosinistra, l’alleanza organica fra democristiani e socialisti, che gli storici definiscono appunto il Moro-Nenni (leader del Psi). E già su questa autentico cambiamento dopo il centrismo, il buon Minoli non si è speso più di tanto preferendo invece, dialogando con Emanuele Macaluso, premere l’acceleratore in favore di una svolta diversa, peraltro più a parole che nei fatti (per fortuna), quella delle cosiddette larghe intese fra Dc e Pci, fra Moro e Berlinguer, altresì chiamata come compromesso storico, con un Pci che, tanto per dirne una, non si indignava di quel muro comunista alzato fra le due Berlino. Ma, fin qui, si tratta di interpretazioni su cui ognuno può riflettere e giudicare, anche se in occasione di una trasmissione non qualsiasi come quella trasmessa da Radio Rai. Il prosieguo della narrazione non poteva non riguardare la tragica vicenda di Moro, che fu sequestrato dai terroristi delle Br e poi da loro assassinato.

Ci aspettavamo che, a tal proposito, si ricordassero i tentativi per un suo rilascio, per la sua salvezza, in primis da parte di Bettino Craxi che, sempre secondo gli storici, quelli veri, avanzò le più diverse proposte per avere salva la vita di Aldo Moro. Un’attesa, la nostra, delusa perché quel nome non è stato pronunciato, ignorato, dimenticato mentre si susseguivano i collegamenti incrociati, peraltro più che dignitosi, ma anch’essi con l’assenza del nome del leader socialista. Assenza comunque non punibile rispetto alla colpevole dimenticanza di Minoli, tanto più sul Servizio pubblico radiotelevisivo. Un’amnesia, si vorrebbe dire. Qualcuno vorrebbe definirla casuale, una sorta di lapsus. Per molti, compreso noi, non casuale. Insomma, politico.

La sloganistica di non pochi politici del nostro tempo ha di gran lunga superato le necessità delle dichiarazioni dei personaggi più o meno protagonisti nell’agone competitivo su uno sfondo prevalentemente populista, a cominciare dall’abuso degli special, anche e soprattutto perché qualsiasi svolgimento tematico sfugge proprio ai temi classici della politica sostituiti, in una specie di inesausta campagna elettorale, con l’irruenza delle promesse nelle loro espressioni propagandistiche. E va pur detto che uno come Luigi Di Maio è fra i più noti cantori di questa musica con coro, anche laddove sarebbe necessario, da un ministro degli esteri, un minimo di accortezza, vedi il caso della riduzione del numero dei parlamentari, come se fosse la riforma delle riforme con l’imprimatur del genio grillino quando, come anche il nostro direttore ha fatto notare, non si tratta della “prima volta” di questa riforma e, soprattutto, non è completata dall’obbligatoria ridefinizione dei collegi e dei ruoli di Camera e Senato, sempre con sullo sfondo l’intervento inevitabile della Corte costituzionale.

Ma si sa, il governare a colpi di slogan, di promesse e di parole, è più facile che il fare. È il nuovo che avanza.

Aggiornato il 01 ottobre 2019 alle ore 10:59