
Anticorruzione e finanziamento ai partiti sono all’ordine del giorno da tempi che staremmo per definire immemorabili se non fosse che la memoria, in questo caso, ci vorrebbe, eccome!
Come del resto ci ricorda il nostro direttore anche a proposito dell’inchiesta sulla fondazione di Matteo Renzi, quest’ultimo ritornato in un certo senso alla politica quotidiana con relativa scissione, a futura memoria di Nicola Zingaretti e non solo. Per definizione: “inchieste ad orologeria, ovvero l’uso politico della giustizia come se fosse ormai entrato a far parte della Costituzione materiale o facesse parte integrante dei metodi e dei meccanismi della vita pubblica del Paese”.
E un’onda, un’ombra non sembrano neppure invisibili su un’altra inchiesta davvero ad horas su Silvio Berlusconi, anche lui e per certi versi redivivo nella politica attiva del Paese, benché esperto di inchieste a pioggia passate. Va altresì aggiunto che l’uso politico della giustizia non poteva non ottenere l’effetto devastante, ovvero annichilente, dei partiti della Prima Repubblica, con l’appendice, dal sapore tutto sommato amaro, del salvataggio da quell’uso dei discendenti dal Pci (finanziati da milioni di rubli e non solo), amaro soprattutto per loro stessi che, salvatisi dalle inchieste, si sono trovati Berlusconi a impedir loro i trionfi elettorali sospirati da più di mezzo secolo.
La memoria è spesso fallace a proposito di questa storia, specialmente da parte degli interessati che hanno fatto proprio il detto dell’immortale Giulio Andreotti col suo “tutto s’aggiusta”, in un Paese nel quale, tuttavia, non pochi partiti hanno sfruttato le disgrazie altrui per crescere a dismisura, per ingrossarsi e fra i quali spicca, buon ultimo, quel Movimento 5 Stelle che ha dato il colpo (quasi) risolutivo alla politica tout court.
E tuttavia, le finalità di quelle ingiurie contro tutto e contro tutti i “ladri”, i risultati di quell’invito trucido di voler “aprire il Parlamento come una scatola di tonno” sono bene evidenziati, ma al contrario, dal Presidente pentastellato proprio di quella Camera dei deputati destinata al fuoco eterno, ad ignis, alla sua morte e invece più viva che mai sotto la guida di Roberto Fico. E il Governo, che ne è del gestore di quel potere contro il quale si elevavano le accuse più infamanti e gli inviti ad delendum di un Luigi Di Maio che non più tardi di un anno e mezzo fa stava a braccetto coi leggendari gilet gialli e auspicava contro governo e governi una lotta dura senza paura? Il Governo italiano è presieduto da un grillino sia pure non iscritto, ma in compagnia di autorevoli ministri della nidiata nata e cresciuta per la sua demolizione e fra cui spicca proprio Di Maio, che in queste ore riceve i colleghi ministri stranieri a New York, sempre con un sorriso sulle labbra che vorrebbe celare non soltanto la sua inesperienza nel settore ma, soprattutto, quel pensiero a malapena mascherato, rivolto in modo particolare ai suoi compagni e riassumibile nell’indimenticata esclamazione di Alberto Sordi: “Io so’ io, e voi non siete un c…”.
Nel frattempo, lo stesso ha raccomandato agli alleati piddini di indicare come capolista regionali persone obbligatoriamente fuori dai partiti (a rischio di corruzione?), giudiziosamente facenti parte della società civile, estranei in tutti i sensi a partiti e movimenti che, non essendo degni di accedere al ruolo di capolista, non si capisce per quale misteriosa ragione possano partecipare alle elezioni nelle suddette liste. C’è da dire, peraltro, che non pochi di questi amici e compagni di Di Maio, alla Camera e al Senato, stanno rompendo il rigoroso e in un certo senso obbligato silenzio riscoprendo una tanto più necessaria vita interna di partito quanto più rimproverata, nella sua assenza agli altri, e proprio da parte di coloro che non l’hanno mai potuta o voluta frequentare. E chissà cosa ne pensa a tal proposito Davide Casaleggio in una con il leggendario Rousseau.
Aggiornato il 27 settembre 2019 alle ore 10:38