
Malta non porta bene all’Italia. Nel pomeriggio di ieri si è concluso il programmato vertice a 4 dei Paesi maggiormente interessati alla soluzione della questione migratoria.
I ministri dell’Interno di Italia, Francia, Malta e Germania si sono incontrati a La Valletta. La riunione, alla quale era presente il commissario europeo uscente per le migrazioni, il greco Dīmītrīs Avramopoulos, è stata presieduta da Maria Ohisalo, ministra dell’Interno della Finlandia, Paese che ha la presidenza di turno dell’Unione europea. L’ordine impartito dalle cancellerie di Berlino e Parigi era di dare un contentino al governo “amico” di Roma sulla questione migratoria. Una soluzione condivisa al problema, tale però da non urtare le sensibilità degli altri Stati che si vedranno al plenum dei ministri dell’Interno dell’Ue il prossimo 24 ottobre in Lussemburgo per provare a mettere nero su bianco uno straccio d’accordo sulla gestione comune del fenomeno.
L’esponente italiana, la ministra Luciana Lamorgese, presente ieri a Malta si è detta soddisfatta dell’intesa raggiunta. In particolare, a giustificare l’entusiasmo della nostra rappresentante sarebbe l’accettazione da parte di Francia e Germania del principio della redistribuzione obbligatoria degli immigrati giunti in Italia o a Malta mediante il soccorso delle navi delle Ong o delle Marine militari operanti nel Mediterraneo centrale, a prescindere dal riconoscimento della condizione di profugo avente diritto alla concessione dell’asilo politico. Secondo l’interpretazione della Lamorgese anche i migranti economici raccolti in mare verrebbero redistribuiti negli altri Paesi. Dall’intesa sarebbero esclusi i clandestini sbarcati dai barconi fantasma, che poi sono la grande maggioranza degli immigrati in Italia. Buco nell’acqua invece sulla richiesta di rotazione obbligatoria dei porti d’approdo. Nella bozza d’intesa vi sarebbe solo un cenno ad un eventuale offerta volontaria nella disponibilità di approdi alternativi a quelli italiani e maltesi. Il che tradotto significa che, in mancanza di volenterosi, le navi cariche di clandestini continueranno a fare rotta verso le coste italiane. Nell’accordo non manca il solito bla-bla sulla necessità di modificare prima o poi il Regolamento di Dublino sul diritto d’asilo in Europa. Insomma, un disastro.
Occorre una visione rovesciata della realtà per giudicare il summit di ieri una vittoria italiana. La verità è che se passasse l’intesa sottoscritta a Malta sarebbe la rovina per il nostro Paese. Come si fa a non comprenderlo? Bisogna avere gli occhi foderati di quel composto ideologico fatto di terzomondismo comunista e mondialismo cattolico per non accorgersene. Il patto di ieri è un regalo gigantesco ai trafficanti di esseri umani. Una rigida politica di porti chiusi ne aveva in qualche modo scalfiti gli interessi economici. Dopo Malta la criminalità organizzata africana si sentirà autorizzata a rimettere in piedi, e alla grande, il fiorente commercio dei viaggi dei clandestini visto che, nero su bianco, c’è scritto che in Italia si può arrivare senza problemi e, una volta messo piede a terra, tutti i clandestini verranno distribuiti in giro per l’Europa. Una sola accortezza per i trafficanti: sintonizzarsi con gli equipaggi della navi Ong per organizzare con la massima efficienza il servizio di traghettamento in Italia di mezzo continente africano. Quanto tempo s’impiegherà a riempire di disperati il serbatoio italiano perché i “generosi” Paesi fratelli si rendano conto del pasticcio combinato e si precipitino a richiudere i battenti di casa loro lasciando il problema ai soliti gonzi italiani? Si voleva una soluzione europea? Bisognava prendersi la briga d’imporre gli hotspot vigilati dalla Ue su suolo libico. Tripoli e Bengasi non sarebbero state d’accordo? Pazienza, prendono i nostri soldi per farsi la guerra? Allora accettino la presenza di contingenti militari della vecchia Europa senza fare troppe storie.
Occorreva che la sinistra tornasse al Governo per ridare vita al progetto di fare dell’Italia il campo profughi d’Europa. Il patto prevede che, prima della redistribuzione, il tempo massimo di permanenza nel Paese di primo approdo sia di trenta giorni. Chiacchiere! Vedremo quante volte il meccanismo s’incepperà e i centri, allegramente riaperti sul suolo italiano dopo l’intermezzo salviniano, si riempiranno fino al collasso. E allora rivedremo sciamare per le nostre città e le nostre contrade migliaia di disperati nullafacenti in cerca di futuro. Quei due ipocriti di Nicola Zingaretti e Giuseppe Conte volevano una società dell’amore per cancellare la parentesi d’odio sovranista predicato da Matteo Salvini. Ma come si fa a non maledirli fino alla settima generazione per quello che stanno facendo all’Italia? La verità è che sta rientrando dalla porta di servizio, aperta dal Governo degli abusivi, il dogma del diritto naturale alla migrazione che era stata cacciato dalla porta principale del voto popolare nelle tornate elettorali degli ultimi due anni. La difesa dell’identità culturale torna ad essere, per il mainstream dei padroni del vapore, una deprecabile inclinazione al razzismo. Come non ricordare i profetici pensieri del compianto don Gianni Baget Bozzo che si rivolgeva ai cattolici per stigmatizzare la distorsione del concetto di carità: “In cui l’altro deve essere più considerato di se stesso, in cui l’alienarsi dimenticandosi è la perfezione cristiana. La carità non supera in questa concezione soltanto la giustizia, ma la abolisce...” (la citazione è tratta da un articolo del 9 maggio 2019 a firma della professoressa Anna Bono per il quotidiano on-line “Atlantico”).
L’Italia torna ad essere il ventre molle di quell’Occidente che, in perdita della dimensione metafisica dell’Eterno, si acconcia ad essere una ricca espressione geografica, un immenso mercato e un’alettante società aperta, contendibile da chiunque abbia interesse a scalarla o ad appropriarsene. In tale prospettiva, l’Italia che si fa banchina d’attracco dei fenomeni epocali di sostituzione etnica è qualcosa di totalmente inaccettabile. Se da qualche parte c’è ancora un popolo non intenzionato a perdere il proprio sacro diritto di patria, occorre che venga avanti e si faccia sentire. Prima che sia troppo tardi.
Aggiornato il 24 settembre 2019 alle ore 12:44