Berlusconi: il destino (politico) di un Cavaliere

lunedì 5 agosto 2019


Il tentativo di fare di Forza Italia un partito con regole e strutture organizzative ispirate al principio democratico nella selezione della classe dirigente è definitivamente naufragato.

D’altro canto, perché illudersi che il cambiamento potesse essere possibile? Lo si è capito da subito, dal lontano 1994 che ciò che stava nascendo era una mirabile costruzione, rivoluzionaria per il suo tempo, di partito-persona, cioè di forza politica strutturata per aggregare il voto d’opinione sulla base di un rapporto assoluto, esclusivo, fiduciario, non intermediato dalla burocrazia degli apparati di partito, tra il leader carismatico e l’elettorato. Forza Italia sarebbe vissuta e morta per volontà del suo padre-padrone. La cosa può non piacere ai palati sopraffini della democrazia, ma è così che ha funzionato. Forza Italia non è mai stata plastica, come maliziosamente suggerivano i suoi nemici e detrattori. Al contrario, è stata un blocco granitico forgiato dalle mani di un-uomo-solo-al-comando. Non sono mai esistiti dirigenti portati sugli scudi dagli iscritti, ma solo collaboratori scelti dal capo. Come in un’azienda.

Ora, scoprire dopo 25 anni il gusto per il partito di massa che elegge i suoi capi attraverso processi democratici dal basso è stata una perdita di tempo. Si dirà, come fa un partito che nella libertà ha la sua bandiera ad essere governato da meccaniche che tutto sono fuorché la rappresentazione della libera espressione dei suoi aderenti? La risposta è che vi è stato, in questi anni, un persistente errore di configurazione. La libertà in Forza Italia non è mai venuta meno. Soltanto che si è trattata dell’accezione limitata alla facoltà di andarsene quando non si era d’accordo con le scelte del capo. Silvio Berlusconi non ha mai trattenuto nessuno. La porta di Forza Italia è sempre stata aperta, in direzione dell’uscita. E Giovanni Toti che oggi dichiara conclusa la sua esperienza nel partito azzurro è solo l’ultimo della serie dei delfini saltati fuori dall’acquario e finiti a nuotare in mare aperto, auspicabilmente con miglior destino dei suoi predecessori.

Di sicuro ci sarà il solito rumore di sottofondo di quelli che accuseranno il transfuga di ingratitudine. All’insinuazione diffamatoria l’interessato replicherà sdegnato che ha fatto ciò che ha fatto per amore verso Forza Italia, come quando per scaricare l’amante che non si sopporta più si dice: “Ti lascio perché ti amo troppo”. Ora non importa stare a litigare per decidere se sia nato prima l’uovo o la gallina, la sostanza è che Forza Italia non ha più un futuro. E non lo ha non perché Berlusconi non voglia mollare il comando o abbia perso il suo tocco magico. La responsabilità della perdita del bacino elettorale è conseguenza della disastrosa manovra di riposizionamento strategico cominciata dal dopo elezioni del 2013. Berlusconi aveva esordito in politica con un’intuizione degna di un grande statista. Grazie alla modifica del sistema elettorale che favoriva la polarizzazione degli schieramenti in campo, nel 1994 il vecchio leone di Arcore aveva trovato la forma per sdoganare la destra nel nostro Paese. Non si dimentichi che la prima Forza Italia aprì il dialogo non con una destra moderna e inserita nelle dinamiche democratiche ma con il Movimento Sociale Italiano che nell’immaginario collettivo era la diretta discendenza del Fascismo. Fu un atto di acume politico comprendere che la maggioranza degli italiani, pur essendo radicata nei valori della destra e della conservazione, fino ad allora aveva cercato collocazioni al centro perché non accettava l’identificazione con forze partitiche che si richiamassero all’esperienza del Ventennio.

Fin quando Berlusconi in persona ha tenuto vivo il senso della diversità, che per i nemici era di natura antropologica, con gli occupanti del campo della sinistra, il consenso degli italiani non è mancato. Anche a dispetto dei risultati dell’azione di governo che non arrivavano, almeno non nella misura promessa agli elettori. La figura del Berlusconi argine e barriera al pericolo comunista è stata un’icona dell’ultimo Novecento. In tempi di memoria corta pochissimi ricordano l’incursione da guastatore del Cavaliere che, sospettoso per i movimenti sotterranei di un Gianfranco Fini insofferente all’asse con Forza Italia, fece irruzione il 28 febbraio 1998 nel Palazzo dello Sport di Verona, dove era in corso la Conferenza programmatica di Alleanza Nazionale, con uno stuolo di steward che distribuivano agli sbigottiti convegnisti copie gratuite de “Il libro nero del comunismo”. Quel gesto di potente richiamo ai valori non negoziabili della destra, fatto in sfregio al padrone di casa, metteva il capo del centrodestra in diretta connessione con la sua gente in un rapporto forse cesarista ma efficace nella declinazione del carisma nella società dell’immagine e della comunicazione breve.

Poi, col tempo, ci si è persi per strada. Basta rivedere gli archivi delle elezioni dal 2013 per fotografare il momento della separazione dell’elettorato da Forza Italia. È dal Patto del Nazareno e dalle continue oscillazioni verso le posizioni della sinistra che gli elettori sono scappati via da Berlusconi. E arrivare oggi a proporre, come surrogato di Forza Italia, un rassemblement di cespugli centristi in stile Centro Cristiano Democratico (Ccd) di casiniana memoria, segna il definitivo distacco da quel mondo liberale, riformista, solidamente ancorato alla storia della migliore destra italiana, che mai potrebbe prestarsi a soluzioni avventuriste con i nemici di sempre della sinistra.

D’altro canto, non vi è solo la vicenda di Forza Italia a testimoniarlo. Tutte le formazioni che negli anni sono sorte deviando dall’alveo del Popolo delle Libertà sono state cancellate dagli elettori. Il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, Futuro e Libertà di Gianfranco Fini, Scelta Civica di Mario Monti, Alternativa Popolare di Beatrice Lorenzin, hanno avuto uguale sorte essendo macchiati dal peccato originale di voler portare altrove i consensi raccolti a destra. Berlusconi oggi ritiene di percorrere la strada del neocentrismo? Ne ha il diritto. Però si astenga dal dare dei cretini agli elettori se poi non lo votano. Giovanni Toti, dal canto suo, potrà avere qualche chance di successo nel creare una micro-formazione liberale a patto che la schieri accanto alla Lega e a Fratelli d’Italia in un’operazione chiara e visibile di riappropriazione di programmi e visioni appartenenti alla storia politica e ideale della destra. Alle elezioni politiche anticipate, date per probabili nella primavera del 2020, la scialuppa pilotata dal Governatore della Liguria potrà contare su una presenza di tribuna nel nuovo Parlamento grazie a candidature offerte graziosamente da Matteo Salvini in alcuni collegi uninominali sicuri. Garanzia che, resta sottinteso, non sarà estesa a ciò che rimarrà di Forza Italia.


di Cristofaro Sola