venerdì 2 agosto 2019
Qui non c’entra il voglio, sempre voglio, fortissimamente voglio che, comunque, anche in politica prevale sul freddo ragionamento. Non sempre, anzi.
Parliamo di Matteo Salvini, che indubbiamente sa suonare le corde della chitarra del consenso. E fino ad ora gli è andata bene. Riuscendo quasi sempre a conciliare la volontà se non le voglie del populismo leghista - un dì nordico ed ora sovranista - con le possibilità della politica e delle sue offerte, sullo sfondo della crisi della sinistra post Renzi non meno di quella di Forza Italia. Le due crisi, intrecciandosi non soltanto fra di loro ma con esigenze di stabilità e riflessi economici, hanno consentito la nascita di un governo con quel Beppe Grillo (insieme a Casaleggio, of course) che ha smesso di punto in bianco di riservare attacchi, insulti, ingiurie e sputi in faccia a tutti gli altri auspicando la loro fine e quella della politica. La cessazione degli spari grillini è coincisa, come si sa, con l’andata al governo di quel movimento con alla testa Luigi Di Maio auspicante, a sua volta, una vera e propria rivoluzione della quale un sempre attento e molto più esperto Matteo Salivni ha saputo cogliere e stimolare non soltanto gli spunti per dir così rivoluzionari, ma il loro più reale sottofondo in cui quelle voglie del cambiare tutto e subito sentivano un forte bisogno di quel potere per una loro realizzazione, cioè il Governo. Questa fu la geniale “trovata” salviniana che non poteva non basarsi, a sua volta, sulla consapevolezza, da un lato della voluptas imperii dei pentastellati, e dall’altra dalla loro impreparazione, dall’ignoranza vera e propria non tanto delle regole del buon governo, anzi, ma della sua essenza che sta nella conoscenza dei problemi e della capacità, della possibilità concreta della loro soluzione proprio in nome di quelle riforme per dir così rivoluzionarie proclamate in anni e anni di demagogia urlata prima, durante e dopo le campagne elettorali, compresa l’ultima.
Le urla non sono cessate, beninteso, e al di là della ponderatezza proveniente e suggerita da Palazzo Chigi, ma sono affidate alle novità dei media, ovvero di Twitter e Facebook, cui sono affidati le pluriquotidiane riflessioni (si fa per dire) di Luigi Di Maio che, nella certezza di rivolgersi alle masse, confonde la piazza reale con quella virtuale cadendo anche lui nella trappola dei moderni media consistente nella replica delle sue stesse immagini e parole restituite dunque senza opposizione concreta e semmai avvoltolate in una sorta di perenne autocompiacimento.
L’opposizione, anche quella cosiddetta normale, cioè nel Parlamento e nel Paese non c’è (ancora?) ed è anche per questo che l’impeto di Salvini non ha avuto e non ha requie, le sue spinte, non meno che le sue massicce presenze mediatiche, ora in maniche di camicia, ora in maglietta, ora in giacca senza o con la cravatta ma con una forza staremmo per dire immaginifica se non fosse che l’enorme diluvio di parole e di proclami rischiano di rimanere tali, di non concretizzarsi, salvo due o tre casi che non segnano grandi svolte, a parte immigrazione e sicurezza benché sulla prima, osservando la vicenda della nave Gregoretti, prima in un porto e poi nell’altro in Sicilia con il ripetuto e programmatico divieto salviniano agli sbarchi, qualche contraddizione è giunta proprio dall’uscita e dalla discesa degli sfortunati migranti, sia pure con destinazioni varie e, soprattutto, europee (Matteo Salvini si era rifiutato sdegnosamente di partecipare ad un incontro Ue su queste faccende, ottenendo rimproveri da un Emmanuel Macron che ha deciso di accoglierne una trentina), anche perché buona parte di loro era malata e la Procura di Siracusa si preparava a ordinarne lo sbarco.
Ma ciò che ora costringe Salvini a fare i cosiddetti conti politici, è l’atteggiamento sistematico dei grillini al governo che si segnalano emblematicamente sia con il “No” secco e deciso alla Tav ripetuto dal ministro Danilo Toninelli, responsabile, et pour cause, ai Trasporti, sia con la persistente volontà del ministro Alfonso Bonafede per l’approvazione della “sua riforma” della giustizia che Salvini ha definito come acqua, più o meno pura. Sono due delle opposizioni interne di Luigi Di Maio che è convinto di aver trovato una sorta di ubi consistam governativo nel blocco delle proposte-riforme salviniane e nelle controproposte assai poco gradite al leader del Carroccio con una sorta di gioco al massacro di una Lega che, tra l’altro, vede arrivare la legge di bilancio di cui già si denunciano limiti e carenze, oltre a tutto il resto come la Tav e altre “cosette” mentre nel Paese si avvertono le prime difficoltà economiche e le necessità europee saranno sempre più sentite, come avvertono il ministro Tria e lo stesso Conte. È probabile che Matteo Salvini pensi anche e soprattutto ad una vera e propria liquidazione elettorale berlusconiana pro domo sua da rinviare alla primavera prossima abbinando le due elezioni, ma ciò che è nei desideri non sempre coincide con la possibilità dei loro compimenti, anche perché le condizioni odierne sono favorevoli ad un Salvini senza opposizione in un Pd anonimo e privo di vera leadership e in una Forza Italia che ha cambiato nome (anche in questo caso si fa per dire) ma non è favorita nei sondaggi: oggi, ma domani? Ragionamento che vale anche per il Pd e che Matteo Salvini non può non rimuginare, anche con frammistioni familiari col figlio sul motoscafo della Polizia che non pare aver suscitato critiche aspre e irrisioni. Questo oggi. Domani non si sa.
E il carpe diem non è estraneo alla politica salviniana.
di Paolo Pillitteri