
Il premier Giuseppe Conte vede avvicinarsi la pausa estiva che vorrebbe raggiungere indenne. È un po’ come un pugile in difficoltà sul ring che concentra le sue residue energie per arrivare ancora in piedi al suono del gong che conclude il round. Una pausa per riprendere fiato sarebbe provvidenziale: per il boxeur e per il Governo. Tuttavia, non lo decide l’Esecutivo se la sosta agostana scorrerà tranquilla o se accadrà qualcosa che guasterà le vacanze ai nostri politici.
Una delle incognite l’ha scodellata sul tavolo della discussione il direttore Arturo Diaconale con il suo editoriale dell’altro ieri titolato: “I giochi libici e la marginalità italiana“. È infatti l’evolversi della crisi libica il boccone che potrebbe andare di traverso al Governo rovinando la festa a tutti. Ai grillini, ai leghisti e, soprattutto, agli italiani. Già, perché il problema non è soltanto la ripresa incontrollata degli sbarchi degli immigrati clandestini dalle coste libiche. La questione più delicata riguarda specificamente la dinamica del conflitto armato in corso tra le truppe del generale Khalifa Haftar e la difesa di Tripoli del presidente Fayez al-Sarraj. Finora lo scontro bellico è stato a bassa intensità. Qualche giorno fa, però, è accaduto qualcosa che potrebbe cambiare verso alla guerra: le truppe di Haftar hanno colpito un ospedale da campo nei pressi di Tripoli. Nel raid aereo sono rimasti uccisi 5 medici e altri 8 sono stati feriti. Pur in presenza di un evento di straordinaria gravità, il Governo italiano ha continuato a non prendere decisioni impegnative, preferendo ripetersi come un disco rotto nella tiritera della via diplomatica alla pace. È un ritornello stonato e fuori contesto dal momento che i diretti interessati, Haftar e al-Sarraj, vanno ribadendo che lo scontro armato terminerà solo con l’annientamento di una delle due parti. Il fatto, però, che la guerra si sia spostata sui ricoveri sanitari, che gli ospedali da campo siano diventati target da colpire con incursioni dal cielo è un pessimo segnale. Non dimentichiamo che nella zona di Misurata è operativo un ospedale militare italiano, allestito nell’ambito della missione bilaterale di assistenza e supporto (Miasit) concordata tra i Governi di Roma e di Tripoli. Ma Misurata è anche nel mirino delle truppe di Haftar. Attualmente a proteggere il lavoro dei sanitari italiani con le stellette ci sono gli uomini e le donne del 7° Reggimento mobile bersaglieri della Brigata corazzata “Pinerolo”, di stanza ad Altamura. A breve saranno avvicendati da altre unità del nostro Esercito. Intanto, i ragazzi del 7° restano al loro posto, bombe o non bombe dei nemici di al-Sarraj.
Intendiamoci, il Governo italiano ha fatto benissimo a non disporre l’evacuazione del contingente quando la situazione sembrava precipitare e la caduta di Tripoli veniva data per imminente. Non si doveva dare la sensazione agli sponsor internazionali di Haftar, Francia in testa, di voler abdicare a un ruolo decisivo nelle dinamiche interne libiche che l’Italia potrebbe ancora giocare. Ma Haftar, gettonatissimo capo della fazione di Bengasi, si è rivelato un mediocre soldato e, in compenso, un criminale senza scrupoli pronto a compiere qualsiasi nefandezza, come bombardare un ospedale, pur di conquistare qualche punto di vantaggio sul nemico e impressionare i suoi finanziatori esteri.
Ora, la domanda è: che accadrebbe se prendesse di mira con i droni donatagli dagli alleati emiratini l’ospedale da campo italiano, se le prossime vittime fossero nostri militari? Questa volta non basterebbe la solita reprimenda verbale. Di fronte a un deliberato attacco a una postazione italiana s’imporrebbe una durissima rappresaglia. Ma abbiamo a Palazzo Chigi, alla Farnesina, al Quirinale, al Viminale e a Palazzo Baracchini le persone giuste per prendere una decisione tanto forte? La risposta è drammaticamente negativa. In una fase di governo caratterizzatasi per il mirato depotenziamento delle capacità offensive e tattiche delle nostre Forze armate abbiamo seri dubbi che il trend possa invertirsi, sia pure in presenza di un evento di eccezionale gravità. I grillini sono pacifisti terzomondisti dentro, i leghisti si preoccupano esclusivamente di non fare arrivare immigrati sulle coste siciliane e calabresi ma non prestano alcuna attenzione agli sviluppi geopolitici nel quadrante del Mediterraneo. Chi dovrebbe caricarsi della responsabilità di dare l’ordine d’attacco? Il presidente della Repubblica Mattarella? Ma siamo seri! Ci fosse stato al suo posto un Cossiga o un Craxi la musica sarebbe stata di certo diversa. Purtroppo venticinque anni di sinistra avvinghiata ai gangli vitali del potere ci hanno reso un Paese debole, remissivo e succube dell’altrui prepotenza.
Eppure, un atto ostile, auspicabilmente incruento, alla missione italiana sarebbe l’occasione migliore per rientrare prepotentemente in un gioco dal quale siamo stati gradualmente espunti. Roma parla di pace. Ma quale pace potrà mai esserci quando si è consentito a Khalifa Haftar, personaggio ambiguo, spia dichiarata, probabilmente ancora al libro paga della Cia statunitense, di mettere su un caravanserraglio di tagliagole per prendersi tutta la Libia? Non che dalla parte di al-Sarraj prestino servizio dei gentiluomini di campagna, tuttavia il Governo italiano, per elementari ragioni di realpolitik, avrebbe dovuto sostenere con maggiore convinzione il Governo di Tripoli, almeno per bilanciare il peso della presenza francese che muove i fili del burattino Haftar. Essersi rifugiati nella solita posizione pilatesca ha letteralmente spinto il presidente Fayez al-Sarraj, anch’egli alla disperata ricerca di sponsor, tra le braccia del presidente turco Recep Tayyip Erdogan e, soprattutto, del suo potentissimo esercito.
Ora, qualcuno che abbia un po’ di sale in zucca ritiene che Haftar possa vincere allegramente la sua guerra senza provocare un’estensione del conflitto alla Turchia e facendo della Libia una seconda Siria a parti invertite? Per anni ci siamo fatti scrupolo di non mettere gli scarponi italiani sul suolo libico con il bel risultato che a breve potremmo trovarci alle porte di casa il nostro alleato Nato Erdogan del quale le forze politiche nostrane dicono tutto il male possibile a godersi il panorama delle coste italiane dalla sponda libica. In pratica, saremmo tornati indietro di oltre un secolo quando l’Italia aveva il medesimo problema di convivenza ravvicinata con la Sublime Porta.
Comprenderete bene, cari lettori, che a fronte di un incubo del genere l’idea di ritrovarsi a settembre ad assistere alle scaramucce tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio, con quest’ultimo che fa il sostenuto e l’altro che minaccia di rompere la mattina e ricuce l’alleanza la sera, rischiamo di beccarci una fastidiosissima orticaria. Che poi già ci prudono le mani. Eccome se ci prudono.
Aggiornato il 02 agosto 2019 alle ore 11:49