Al voto? Più prima che poi

Certo, parlare di elezioni anticipate quando nemmeno metà della legislatura è stata toccata, non è un gettare le parole a vanvera o come nella immortale canzone di Mina.

Il fatto, quello vero, è che ne discutono i diretti interessati a cominciare da quel Giancarlo Giorgetti leghista e di governo che, nel tranquillizzare tutti (si fa per dire), ha detto più o meno che si voterà il prossimo anno. E noi aggiungiamo, forse prima. Perché?

Un passo indietro: chiediamoci, anzi, chiediamolo (si fa per dire) a Matteo Salvini e Luigi Di Maio allorquando siglarono quel “Contratto di governo” nel quale erano scritte le cose da fare, oltre che i relativi impegni politici, ovvero di un’alleanza a due che sorprese soltanto chi di questa politica ha, o aveva, un concetto o troppo alto o troppo basso. In entrambi i casi, il tema di fondo come quello riguardante le grandi opere, come la Tav, non poteva né doveva essere trascurato tanto più che l’opera, almeno dalla parte francese, ha avuto i crismi sacrosanti di Emmanuel Macron e non solo.

Di certo questo si sapeva fin da allora e, ad ogni modo e più di tutti compagni di governo, non poteva non saperlo colui che era stato indicato dai pentastellati come ministro dei Trasporti. Non sappiamo il suo pensiero, di allora, a proposito di quella grande, grandissima, benché fonte primaria di dissensi, soprattutto gridati, di Beppe Grillo e compagnia urlante. Ma conosciamo molto bene quello di oggi, fine luglio 2019, giorno in cui il suddetto ministro ha bollato la Tav né più né meno che come una bidonata. Sic. Coerente col pensiero grillino, si capisce. Ciò che si capisce meno è il significato nuovissimo attribuito al termine contratto, se è vero come è vero che, vocabolario alla mano, contratto sta anche per: accordo, patto, trattato, convenzione, negoziazione, obbligazione, ecc..

Il No alla Tav non può non essere una negazione del significato della parola stessa che sta alla base della ideazione e realizzazione di un governo per il quale, non a caso nelle stesse ore, il sottosegretario Giorgetti ha pronosticato una durata breve. E se fosse brevissima?

Intendiamoci: qui non si parla di sospetti, ma di riflessioni inevitabili suggerite proprio dai comportamenti espliciti dei due vicepresidenti e, ovviamente, dello stesso Premier Giuseppe Conte (favorevole all’opera) che, anche nella giornata del lutto nazionale per la morte del giovanissimo carabiniere di Somma Vesuviana, non hanno smesso di polemizzare reciprocamente, proprio come sui social prediletti; sito nel quale, ad ogni buon conto, lo stesso Di Maio ha lasciato cadere l’ennesima perla del suo pensiero, aggiungendo che se la Lega vuole (fortissimamente vuole) la Tav, dovrà chiedere i voti del Pd - si badi bene, ha ignorato, et pour cause, quelli di Forza Italia alleata della Lega e favorevole all’opera, tant’è vero che, sia pure nel silenzio di Silvio Berlusconi, ha detto che si sta aprendo la crisi del governo. Crisi, appunto.

Naturalmente, uno come Salvini non farà mai marcia indietro non solo e non tanto perché su quest’opera di carattere internazionale non può comunque smentirsi, ma soprattutto perché è una delle poche, pochissime “grandi riforme” sulle quali la Lega puntava e punta altrimenti restano, come punti focali della sua azione nel cosiddetto governo millenario, l’immigrazione e la sicurezza; temi sui quali è riconosciuta a Matteo Salvini una volontà e uno sforzo non secondari, anzi. Ma il resto?

Non è che qui si voglia andare, come si diceva una volta, a “cercare il pelo nell’uovo” innanzitutto perché sia nella Lega che nello stesso Movimento 5 Stelle si odono voci non entusiastiche a proposito della spinta e della capacità realizzativa di un governo che ha realizzato ben poco sul piano interno (ed economico), come puntualizzano i responsabili confindustriali. E poi perché l’antieuropeismo di fondo, comune ad entrambi i contraenti del contratto, ci sta isolando in politica estera e, a maggior ragione, nel Vecchio Continente, con più che probabili esiti negativi.

In realtà, al fondo, anzi all’inizio di questo antieuropeismo, sta quel quid che da non poche parti e da non pochi osservatori viene identificato come una vera e propria antipolitica che soprattutto in Grillo aveva avuto i suoi cantori (pardon, urlatori), ma che da qualche tempo non riserva molto entusiasmo alle sue creature, misurando la grande differenza fra l’opposizione, in cui il M5S era cresciuto a dismisura e il governo che, secondo gli ultimi sondaggi, li ha ridotti sensibilmente conducendoli a contraddizioni quotidiane, permesse da certi media e soprattutto coniugate sui social dagli stessi interpreti come in uno specchio nel quale ogni narrazione, ogni coniugazione è scambiata per lode e consenso in una sorta di fiction auto-ingannante e dunque nemica della realtà.

Ma la realtà, quando si vota, fa sentire la sua voce, la vox populi. Prima o poi. Più prima che poi.

Aggiornato il 31 luglio 2019 alle ore 11:26