Dissentire dalle idee non significa manifestare disprezzo nei confronti delle persone o negare i loro meriti.

Francesco Saverio Borrelli è stato un magistrato serio e preparato; ha guidato la Procura della Repubblica più intraprendente di Italia e ha avuto il merito - questo non va dimenticato - di mettere a nudo i vizi di un sistema incrostato da decenni di malaffare.

La sua morte, però, non può farci dimenticare che quella di Tangentopoli, le cui conseguenze scontiamo ancora oggi, fu la stagione nella quale si credette di risolvere i problemi politici per via giudiziaria, surrogando la revisione del sistema con l’abbattimento di una intera classe dirigente a colpi di manette, nel tentativo di sostituirla con un direttorio giacobino.

Questo è il tema, non le innegabili qualità di un uomo degno, al quale tributiamo rispetto. Gli contestiamo, tuttavia, di avere agito con spirito e metodi giustizialisti; di avere creduto che il corpus dei magistrati fosse legittimato ad esprimere giudizi etici; di avere invaso il territorio della politica.

Se volgiamo indietro lo sguardo, possiamo comprendere dove sia il punto di origine delle strampalate idee del Guardasigilli in carica: nella protesta a telecamere accese e a barba incolta contro il decreto Biondi, ritirato a furor di pubblici ministeri.

Borrelli non fu il solo e neppure fu il principale responsabile di quanto accadde. I colpevoli impuniti sono gli ideatori del sistema delle Frattocchie, emblematica anticipazione delle lottizzazioni moderne e del pangiustizialismo.

Con quegli impuniti, ispiratori della politicizzazione della magistratura sotto la farisaica copertura della intangibile indipendenza della funzione, dobbiamo ancora fare i conti, sia sul piano ideologico, sia su quello ordinamentale. Loro hanno il Guardasigilli, per ora. Ma nessun Governo dura per sempre. Non qui da noi.

Aggiornato il 22 luglio 2019 alle ore 10:43