Media e commedia

venerdì 8 marzo 2019


Internet rivoluziona il mondo, standosene i rivoluzionari nel salotto di casa. Una rivoluzione domestica, per così dire. Nella rete i social media sembrano farla da padroni, ma l’impressione è falsa. Le grida dello stadio sovrastano un notturno di Chopin, eppure valgono nulla e durano niente. Il chiacchiericcio dei social può essere facilmente ignorato: basta escludersi. Purtroppo, pochi ci riescono. La vanità e la necessità trascinano miliardi d’individui a collegarsi, arricchendo chi campa sull’una e sull’altra. Il cicaleccio, altrimenti innocuo, in politica è deleterio perché il popolo, che già di suo vuole essere ingannato, ne viene trascinato all’inconcludenza ed alla fatuità. Per esempio, milioni di persone, stima per difetto, spendono ore a scambiarsi impressioni o fotografie per nessun altro motivo che l’ostentazione di sé, a parenti, amici, sconosciuti. Da questo specifico punto di vista, non è vero che i social migliorino la conoscenza intesa come accrescimento culturale. Pare piuttosto che distraggano da un uso profittevole del tempo, per contro impiegabile in attività palpabili e studi utili. I social hanno generato la dilatazione mondiale della recitazione, della finzione, della teatralità, dell’ostentazione, del realismo trucido e dell’ipocrisia edificante, senza tuttavia avvicinarsi, neppure alla lontana, a qualcosa che nell’insieme possa evocare, si parva licet..., “La commedia umana” di Honoré de Balzac.

I social hanno sempre quel certo non so che di chi spia dal buco della serratura. Mentre prima le porte con il buco erano poche e pochi i curiosi che n’erano attratti, la rete ha fatto sì che la Terra intera possa osservare e farsi osservare. Tutti possono spiare ed essere spiati, fare e ricevere confidenze ed immagini, intime oppure no. Anche all’altissimo livello dei leader politici e dei capi delle nazioni, i social in minima parte soltanto assolvono un funzione intrinseca alle istituzioni politiche. Più spesso sono ragli amplificati dalla rete oppure minuzie, quisquilie, pinzillacchere, degne di scolaretti. E qui s’innesta la grande responsabilità dei media tradizionali, che, incredibile a dirsi, indulgono da se medesimi a dichiararsi ormai superati, quasi fossero afflitti da complesso d’inferiorità verso i social. Capita quotidianamente, ahimè, di vedere paginate di giornale e lunghe trasmissioni basate su tweet e like allucinati. I giornalisti, a tali accuse, replicano che hanno il dovere d’informare e che tweet (foolish or insignificant person, non a caso!) e like, provenendo da politici, sono di per sé notizie. Ma non è vero. È falso. Purtroppo si è creato un circolo vizioso del quale i media sono i veri responsabili, perché i social non devono dar conto a nessuno, mentre i media portano addosso la responsabilità politica, ineludibile, di costituire il quarto potere, non meno fondamentale ed istituzionale dei canonici primi tre.

Benché censura e media siano e debbano restare, nella dottrina e nella pratica della società libera, agli antipodi, i media hanno il dovere, da esercitare nella più totale indipendenza, di controllare e verificare le vere notizie, di censurare il falso e il futile, sebbene provenienti dalle autorità politiche. Se i media si riducono sempre e comunque a cassa di risonanza dei social, a partecipare attivamente alla commediola globale ed alla costruzione di un mondo di fantasie, la loro funzione specifica si atrofizza ed estingue, perché perde il nucleo essenziale della sua ragion d’essere. La morte dei media non contribuisce soltanto alla fine di un tipo di impresa editoriale, e della conoscenza ragionata dell’attualità reale, ma anche, a breve andare, all’erosione dello stesso sistema di governo rappresentativo, il bene finora più prezioso della civiltà politica.


di Pietro Di Muccio de Quattro