Il Pd: un partito a due piazze

lunedì 4 marzo 2019


La sinistra, che dopo la batosta elettorale dello scorso anno era diventata afona, ha ritrovato la voce. Bene per quelli che ci credono. A cosa? Al solidarismo terzomondista? Al mondo di pace senza frontiere? Al piatto egualitarismo dell’ideologia progressista? Anche, ma soprattutto al microcosmo radical-chic che torna ad autoproclamarsi parte migliore dell’umanità. Eccoli lì i compagni griffati Armani, in strada a immergersi in un autoassolutorio lavacro rituale prima di mettersi in coda ai gazebo elettorali del Pd. Attori, soubrette, politici trombati, intellettuali bolsi, preti affrancati dalla dottrina cristiana grazie al pontefice del nouvelle vague terzomondista, lobbisti della globalizzazione, professionisti dell’antimafia e giovani incolpevoli del loro idealismo adolescenziale che non tradisce la parabola dell’umano destino: rivoluzionari da ragazzi, bancari e benpensanti da adulti. La marcia dei duecentomila di Milano di ieri l’altro è stata la festa del colore. Per gli ispiratori è stata qualcosa di più.

Per Romano Prodi si è trattato di un risveglio delle coscienze. In pratica un “people” di qualità che si rimette in cammino. Ma verso quale direzione? A dare ascolto al gran sacerdote della modernità progressista, il sindaco Beppe Sala, che li ha chiamati a raccolta, i duecentomila di Milano costituirebbero “lo spartiacque tra modelli diversi di società”. E cosa chiede questa umanità migliore? Immigrazione ad libitum. Finisce qui il grande sforzo di elaborazione ideale di un popolo che preferisce essere chiamato “people”, per non essere confuso con l’altro popolo, quello sovranista di Prima-gli-italiani. La visione del mondo e del nostro Paese per questa umanità migliore si riassume nell’unico punto di programma che è rifare l’accoglienza no-limit come l’abbiamo conosciuta e subìta negli anni dell’ubriacatura multiculturalista del Partito democratico post-socialista di Matteo Renzi. Giusto per curiosità, ci spiegherebbero i marciatori di Milano cosa fare dell’ampia porzione di italiani che non se la passa bene? Dei nostri poveri e dei nostri senzatetto? Degli sconfitti dalla globalizzazione? Sono feccia razzista anche loro che non sono venuti a fare passerella a Milano tra Cordusio e San Babila? Per i troppo buoni di People il “vasto programma” sarebbe di farsi invadere indiscriminatamente da tutti coloro, gli allogeni, decidano di accomodarsi senza invito nella terra dei nostri padri (perciò che si chiama patria). Saranno pure variopinti questi marciatori ma si portano addosso il tanfo delle quinte colonne del nemico in agguato. Il racconto della levata multiculturalista potrebbe chiudersi qui se non fosse per quella bizzarra combinazione temporale con il voto alle primarie del Pd per la scelta del nuovo segretario del partito, che suscita qualche sospetto. Allora cos’è stata la sfilata di sabato? Un’ipoteca sulle urne piddine di domenica? Qual è stato il messaggio ai candidati? Un hashtag: scordatevi-di-Marco Minniti e della sua politica di contrasto all’immigrazione? Ma c’è un problema.

Luca Ricolfi, intervistato dall’Huffington Post, ha detto che: “L’idea dell’accoglienza è un’idea molto cristiana... Dubito, però, che sia un’idea di sinistra. Per questo ritengo che la sinistra abbia sbagliato ad associare se stessa alla politica del sì incondizionato all’immigrazione”. Ragazzi, come la mettiamo? È uno del vostro campo a dirlo, non un pericoloso razzista, xenofobo trumpian-putiniano con scappellamento a destra. Immenso Ricolfi! Ma quale dovrebbe essere la differenza tra la sinistra e la destra sull’immigrazione? “La sinistra può farlo senza crudeltà (rispedire al mittente i clandestini n.d.a.). C’è un’enorme differenza tra l’atteggiamento duro ma umano di Marco Minniti e lo stile sgradevole di Matteo Salvini” . Capito? È solo questione di bon ton. Per Ricolfi la sinistra ha peccato in pensieri, parole, opere ed omissioni. Soprattutto omissioni: “La prima è aver buttato alle ortiche la politica anti sbarchi di Minniti, di cui nessun candidato alla segreteria del Pd si mostra fiero. La seconda è non aver combattuto adeguatamente la povertà, allargando almeno fino a sei-sette miliardi i soldi per il reddito di inclusione (ne ha messi solo due). I due terreni sui quali La Lega e il Movimento 5 Stelle hanno costruito la loro ascesa”.

Ora che sappiamo del trionfo di Nicola Zingaretti siamo curiosi di scoprire quale sinistra sia andata ieri ai gazebo delle primarie del Pd? La vena vetero-socialista rediviva che, con tutte le sue ambiguità ideologiche, ha mantenuto un discreto grado di realismo politico o quella radical-chic, multiculturalista e terzomondista dei dolce-vita sotto l’eskimo d’ordinanza tirato fuori dalla naftalina per la circostanza autocelebrativa, di nuovo come ai vecchi tempi della “P38”? Non è questione peregrina. La domenica elettorale del Pd ha dato conto di un campo dei progressisti vivo e vegeto. Il che è una buona notizia per la democrazia. Ma riscontrare che un’alternativa alla destra sia possibile non si traduce meccanicamente in effettivo peso politico. È stato fin troppo facile scaricare sull’odiato Matteo Renzi tutte le responsabilità per il crollo del Pd. La verità è che il maggior partito della sinistra è cominciato a collassare lentamente già dai tempi delle ammucchiate progressiste di Romano Prodi. Il voler fare un solo calderone di soggettività politiche e culturali diverse, se non opposte, è stato l’errore esiziale che ha consentito alla forza antisistema dei Cinque Stelle di risucchiare una quota di elettorato fuggito dalla Babele dell’Ulivo/Unione di prodiana memoria. Zingaretti, con la vittoria di ieri, ha solo cominciato un percorso che ben presto lo condurrà a scegliere per sé e per il suo campo un’identità netta, definita. Sarà quella pragmatica e costruttivista della vecchia guardia o sarà condizionata dall’ipoteca radical-chic iscritta sul nuovo corso del partito dalla piazza milanese di sabato? Lo scopriremo presto.


di Cristofaro Sola