
Certo che ci sarebbe solo da divertirsi (si fa per dire) a prendere semplicemente nota delle dichiarazioni, più o meno (soprattutto meno) autorevoli, garantiste e più populiste, dei vari soggetti politici in merito a quella che qualcuno ha chiamato la vicenda di Rignano, ovvero l’arresto dei genitori di Matteo Renzi.
Eccelle, come al solito, il tono non flautato dei grillini, in questo caso autorevolmente rappresentati, si direbbe in un certo senso “governati” dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che, sbarrando il cammino a qualsiasi sentiero di garanzie ha liquidato la faccenda con un “tranquilli, nessuna svolta garantista del M5S!”. Non ne dubitavamo sol che si pensi che gli 11 milioni di voti ai pentastellati erano bensì espressione di protesta contro tutto e contro tutti ma, appunto, esempi di un giustizialismo che, in verità, viene da lontano e non esattamente dai grillini che, tra l’altro, non c’erano in quegli anni Novanta. Quando l’onda del dipietrismo (ma che fine ha fatto l’eroe delle manette?) travolse e distrusse la politica, facendo della giustizia la sua alternativa, naturalmente coll’applaudente coro mediatico che sanciva solennemente “dura lex, sed lex”.
C’erano, segnalati fra i più accesi dall’implacabile applausometro del manipulitismo contro gli altri partiti, i postcomunisti o piddini che dir si voglia, quelli del Partito che fu di Enrico Berlinguer e Massimo D’Alema e giù giù di Pier Luigi Bersani e infine anche di quel Matteo Renzi che non è mai stato, in verità, un giustizialista di lotta e di governo, riservandosi un ambito dedicato alle garanzie, soprattutto quando l’impeto giudiziario investiva qualche amico-compagno. Non è dunque un’inaspettata uscita la sua a proposito dell’arresto dei genitori, quasi settantenni, con una critica non solo o non soltanto delle motivazioni della scelta giudiziaria, ma del comportamento del sistema informativo italico, stampa e tivù, dei quali ha lamentato con toni decisi lo spettacolo mediatico a proposito dei domiciliari inflitti a mamma e papà, per di più sullo sfondo di motivazioni di difficile, quasi impossibile, comprensione.
Il fatto è che il Partito Democratico e i suoi militanti hanno una lunga tradizione nell’applaudire questo tipo di spettacolo quando a subirlo sono gli altri, come Bettino Craxi e Silvio Berlusconi nel solco di un giustizialismo che è esattamente l’opposto del garantismo. E verrebbe voglia di commentare con i cugini francesi quando ci ricordano che “plus ça change, plus c’est la même chose”.
Adesso, fra i più ascoltati dalla parte di un universo pentastellato, che pur rivelando qualche crepa interna tiene sempre pressato il piede sul pedale populista, non poteva mancare quello che i capi grillini stessi definiscono il loro cervello ovvero il “sistema Casaleggio” che, non dissimile da un oracolo, e dunque in assenza di qualsiasi controllo, si è espresso a favore di Matteo Salvini ma, attenzione, con una dissidenza superiore al 40 per cento che non può non suonare come un avvertimento a Luigi Di Maio che, pure, ringrazia nell’attesa di altre consultazioni telematiche sui temi caldi e urgenti; i temi di una politica che non è più autonoma, libera da condizionamenti e inframmettenze antidemocratiche e burocratiche, ma dipendente da altro e da altri “cervelli”.
E il garantismo che fine ha fatto? La risposta più lucida ci viene da un ex magistrato, fra i più scrupolosi degli addetti all’esercizio e alle decisioni della Giustizia come Carlo Nordio, che riferendosi alla gestione del caso Salvini dalla giunta del Senato, e sullo sfondo dell’uso delle inchieste, ha scritto parole illuminanti e non poco preoccupate a proposito delle continue, costanti, antiche e sempre presenti strumentalizzazioni di vicende giudiziarie concludendo che siamo di fronte a una “giustizia boomerang che distrugge la politica”.
Non una previsione, ma una constatazione.
Aggiornato il 21 febbraio 2019 alle ore 10:15