Caso Diciotti, Salvini salva Di Maio

Fumata bianca dal popolo grillino: Matteo Salvini non va processato per i fatti della nave Diciotti. Il giorno nero della giustizia a furor di popolo si è concluso con una vittoria del buonsenso. E di Luigi Di Maio. La base degli iscritti alla piattaforma Rousseau si è espressa contro l’autorizzazione a procedere per il ministro dell’Interno Matteo Salvini.

I numeri della partecipazione al voto on-line sono stati importanti. In 52.417 iscritti hanno cliccato. Di questi, 30.948 (il 59,05 per cento) hanno ritenuto che Salvini avesse agito per tutelare un preminente interesse pubblico; 21.469 (il 40,95 per cento) sono stati di contrario avviso. Ora cosa accadrà? Si presume che, dopo aver tirato un grosso sospiro di sollievo, i senatori grillini presenti nella Giunta per le immunità del Senato potranno nella seduta fissata per oggi votare, insieme ai già schierati senatori del centrodestra, per non concedere l’autorizzazione a procedere richiesta dal Tribunale dei Ministri di Catania, al grido “il nostro popolo lo vuole”. Probabilmente hanno ragione i media che questa mattina parlano di salvataggio. Ma di chi? Di Salvini? Non proprio. Preferiamo pensare che il salvato, nella circostanza, sia stato il capo politico dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio. Fin dal primo momento in cui si è palesato un rischio per la tenuta del Governo sull’affare della nave Diciotti è apparso chiaro che il re travicello della storia fosse il giovane leader grillino e non certo il suo partner leghista. D’altro canto, nella polemica divampata all’interno del Movimento grillino non è mai stata la posizione di Salvini la materia del contendere ma la collocazione dei pentastellati rispetto a una questione che andava a incidere su uno dei punti cardine del grillismo: la fine di qualsiasi impunità per i politici. Ma l’interrogativo sulla qualificazione della condotta del ministro dell’Interno non poteva considerarsi che l’innesco di una carica esplosiva la quale, era questione di tempo, prima o dopo sarebbe scoppiata portando alla luce le contraddizioni coltivate dalla natura idroponica del Movimento medesimo. E quel 60 a 40 della votazione di ieri rispecchia fedelmente la spaccatura profonda che c’è nell’elettorato grillino che non è tutto di sinistra, come non è tutto di destra. Si tratta di un’elementare verità, sapientemente nascosta dagli artefici della “mostruosa creatura” agli occhi dell’opinione pubblica, ma che non sarebbe più potuta restare tale dal momento in cui il Movimento sarebbe venuto a contatto con la funzione di governo. Non è un caso che la comunicazione in tarda serata dell’esito della votazione on-line sia stata accompagnata dall’altra notizia che contribuisce a chiarire cosa stia realmente accedendo all’interno dei Cinque Stelle. Il capo politico Luigi Di Maio ha convocato un’assemblea dei parlamentari grillini per annunciare la decisione di cambiare verso al Movimento traghettandolo nella più compiuta forma partito in vista di un maggiore radicamento nei territori. Si tratta di una rivoluzione copernicana per una forza politica che aveva fatto dell’isolamento nella diversità antisistemica la sua cifra identificativa.

Attendiamo di assistere a breve alla nascita di un partito tradizionale ispirato ad alcuni dei contenuti appartenuti al grillismo. In luogo delle boutade teatrali dell’istrionico Beppe Grillo dovremo abituarci a fare i conti con la comunicazione in doppio petto di un pettinatissimo Luigi Di Maio, amico di Matteo Salvini ben più che di Roberto Fico. È auspicabile che la transizione non sia condivisa, per ragioni di convenienza personale, da tutta l’attuale classe dirigente del Movimento. Non poche sono state le voci che si sono levate in dissenso rispetto alla svolta a destra impressa dall’ala governista. C’è d’augurarsi che i dissidenti siano coerenti con se stessi e intraprendano, come più volte minacciato, la strada della scissione. Si tratta di un gruppo di parlamentari e consiglieri presenti negli enti locali che non hanno mai nascosto la loro provenienza ideologica dall’ultrasinistra. È bene che costoro tornino da dove sono venuti per consentire alla politica nel suo insieme di fare chiarezza sulle inclinazioni politiche e valoriali di ciascuno dei rappresentanti del popolo perché gli elettori non siano più tratti in inganno circa le intenzioni di chi scelgono per farsi rappresentare. Il passaggio referendario di ieri a questo è servito, a contare quanti degli scritti siano con Di Maio e quanti gli siano contro.

Ora che la rottura è stata resa visibile tocca ai cosiddetti governisti pentastellati decidere cosa fare da grandi, a cominciare col porre all’ordine del giorno per il dopo elezioni europee una seria riflessione sul rimpasto della compagine governativa e, possibilmente, sull’ampliamento a destra della maggioranza parlamentare per condurre a scadenza naturale l’odierna legislatura. Di Maio in questa traversata per il riposizionamento strategico della sua formazione partitica sa di poter contare sul sostegno dell’alleato leghista. Salvini dal canto suo ha tutto l’interesse a tenere in vita e in buona salute l’amico avendo compreso che ogni ipotesi di ricomposizione di un blocco sociale di riferimento per un’area politica di destra non possa prescindere dalla presenza di una quota significativa dei Cinque Stelle nella versione 2.0 ispirata da Luigi Di Maio. E sul fronte del centrodestra anche coloro che oggi si mostrano più riottosi a interagire con l’urticante politica grillina dovranno farsene una ragione. Se vogliono continuare a tenersi vicina la Lega, accettino il consiglio in musica della premiata ditta Garinei & Giovannini: “Aggiungi un posto a tavola”.

Aggiornato il 19 febbraio 2019 alle ore 11:11