
I sondaggi sono tutti concordi nel pronosticare la vittoria di Emmanuel Macron nelle elezioni francesi. È vero che Marine Le Pen ha recuperato parecchi punti rispetto alle indicazioni del primo turno. Ma solo un miracolo potrebbe consentire alla leader del Front National di superare la fatidica soglia del cinquanta per cento e diventare la prima presidente donna della Francia repubblicana.
Si illude, però, chi prevede che il quasi scontato ingresso di Macron all’Eliseo risolva automaticamente i problemi che l’ipotetico successo di Marine Le Pen farebbe esplodere all’interno dell’Unione europea. Certo, con la presidenza del candidato di centrosinistra la Francia non cercherà di uscire dall’Euro, tenterà di rinsaldare il rapporto privilegiato con la Germania e non farà saltare gli attuali equilibri europei. Ma la sconfitta della candidata dell’estrema destra non riuscirà a trasformare il giovane Macron nel fondatore degli Stati Uniti d’Europa e neppure nel salvatore di una Unione che fa acqua da tutte le parti. Innanzi tutto perché il giovane candidato favorito non sembra avere la statura politica per realizzare miracoli di questo tipo. Inoltre perché una Le Pen battuta di misura rappresenterà comunque una parte considerevole dell’elettorato francese e continuerà a svolgere il ruolo di modello di riferimento per tutte quelle forze del Vecchio Continente che contestano l’attuale assetto dell’Unione europea. Infine perché la spaccatura della società francese renderà il nuovo presidente un leader debole, costretto a occuparsi molto di più delle questioni interne invece di contribuire a trovare soluzioni alla questione della debolezza politica di una Europa incapace di superare gli interessi delle varie nazioni.
Macron, quindi, potrà anche rappresentare un male minore rispetto alla Le Pen. Ma non sarà in grado di andare oltre questo ruolo limitato e svolgere quella funzione salvifica che gli europeisti acritici e fondamentalisti gli vorrebbero attribuire scambiando la sconfitta del Front National nella vittoria di Bruxelles e Strasburgo.
Il rischio, semmai, è che il male minore diventi una sorta di foglia di fico di un problema destinato a incancrenirsi. Quello di un’Europa malata che non sa guarire!
Aggiornato il 05 maggio 2017 alle ore 18:22